Elite: la prima stagione

In ritardo sulla tabella di marcia, ho visto da poco la prima stagione della serie spagnola tanto discussa. C’è chi l’ha paragonata a 13 reasons why per via della trama, chi a La casa di carta per via degli attori in comune, ma io non la paragono a niente di tutto questo. Elite è una serie a sè stante, costruita benissimo, che tiene incollati gli spettatori un episodio dopo l’altro. Del resto sono otto ore in totale, qualcuno l’ha guardata tutta in un giorno solo. Io ci ho messo una settimana circa, ho digerito ogni puntata con calma, e ho aspettato la fine per dare il mio modesto giudizio. Quel che è certo è che non dovete aspettarvi personaggi facili, personaggi su cui non cambierete opinione da un momento all’altro, personaggi comprensibili in tutto quello che fanno.

La trama dei primi otto episodi ruota attorno a una protagonista, Marina, trovata morta a scuola durante una festa. Da qui una serie di flashback raccontano gli ultimi mesi della sua vita scolastica, allargando lo sguardo all’ambiente che la circonda e alle persone a lei vicine. Le indagini della polizia vanno di pari passo con le testimonianze narrate, e mostrano luci e ombre di ciascuno dei personaggi, facendo dubitare di chiunque e ipotizzare tutto. Gli equilibri cambiano quando la scuola superiore di Samuel e Christian crolla, e i due ragazzi vengono trasferiti alla prestigiosa Las Encinas grazie a una borsa di studio. È l’istituto che accoglie i figli delle più ricche famiglie, sedicenni che hanno le spalle coperte e grandi ambizioni, ville in cui abitare e un futuro assicurato. Samuel è l’esatto opposto, vive con la madre, il fratello è in libertà vigilata, si mantiene lavorando come cameriere, è di umili origini e sa di esserlo: non è fatto per quel mondo elitario in cui si è trovato. Come lui Nadia, una ragazza musulmana che si è guadagnata l’ingresso a scuola grazie ai voti e alla disciplina, vittima del rigore eccessivo della famiglia e del sistema. L’intreccio segue i legami che si vengono a creare tra due mondi così distanti, apparentemente incompatibili, da una parte i ricchi figli di papà, dall’altra gli emarginati. Forse questo confronto è fin troppo estremizzato, oscilla tra le feste ad alto tasso alcolico e le cerimonie eleganti dei genitori, due facce della stessa medaglia che a volte sono come tappeti, nascondono le verità nella polvere. Ma non è un confronto statico, viene approfondito, in qualche modo contestualizzato nel corso delle puntate. Marina rappresenta al meglio il punto di incontro tra i due mondi, è di famiglia agiata, ma non comprende le regole di quel gioco, i comportamenti dei suoi genitori, l’assenza di una morale dietro i loro gesti. È cresciuta in un ambiente che l’ha segnata, commette tanti errori, forse perchè incapace di rapportarsi con gli altri, e ferisce molte persone, perfino se stessa. Non è felice, per quanto si sforzi di mostrarsi tale. Ha contratto il virus dell’HIV durante un rapporto sessuale, e questo spezza il suo rapporto con i genitori, che non riescono più a vederla come la figlia di prima, e con i suoi compagni, a cui nasconde la malattia per evitare i giudizi. Ma la situazione precipita, e alle normali relazioni tra ragazzi di sedici anni si mescolano problemi più grandi, quelli degli adulti, che finiscono in mano a chi purtroppo non sa gestirli. Informazioni segrete nascoste in un orologio, ci credereste?, sono la causa scatenante di una reazione a catena di violenze, ricatti, discussioni, che degenera in una lotta tra ceti sociali e culmina in un ultimo disperato gesto: l’omicidio di Marina. Marina che non apparteneva a niente, voleva fuggire dal suo passato pieno di sbagli, voleva forse trovare un riscatto al male che lei stessa aveva provocato, ma non le è stato concesso il tempo. Non è un personaggio positivo, ma è difficile per me odiarla. In fondo, a pensarci bene, nessuno è del tutto un eroe e nessuno è del tutto malvagio. Hanno tutti qualche scheletro nell’armadio, che si tratti di spaccio di droga, un ricatto al professore, un furto in casa per saldare un debito, un pestaggio per difendere la propria sorella, nessuno è da ritenersi innocente. Stona il contesto della scuola superiore, perchè i personaggi non sembrano avere sedici anni, hanno vissuto esperienze troppo grandi per quell’età, vivono da adulti in un mondo per ragazzini, tra lezioni e feste in discoteca, ma non funziona. Lo spettatore non ci casca e si stupisce, perchè i temi trattati sono pesanti, dignitosi, importanti. In parallelo con l’omicidio di Marina, viene narrata l’integrazione di Nadia nella nuova classe, le discriminazioni per via della sua religione, il divieto a indossare il velo, l’eccessivo rigore del padre, che vorrebbe crescere la propria figlia senza farla uscire di casa. Poi c’è l’amore, che fa da filo conduttore nonostante il dramma quotidiano, ed è un amore scandagliato in tutte le sue sfaccettature. Nadia che non potrebbe frequentare un cristiano, perchè la sua religione non lo permette. Ander e Omar, attraverso i cui occhi viene raccontata l’omosessualità, in tutte le difficoltà e le paure che comporta, anche quando viene derisa o condannata dagli amici, dai genitori, perché siamo ben lontani da un mondo in cui la si possa vivere appieno.

Il lieto fine? Non c’è. Per nessuno. E questo è uno dei pregi di questa serie, che si riserva un finale aperto per poterla continuare, ma che potrebbe anche terminare così, nell’amara constatazione che a volte non c’è giustizia per nessuno.

Una bella serie TV, ennesimo bel prodotto di Netflix, intelligente, furbo, ben fatto. È diversa dalle classiche serie americane, ma gli attori sono validi, la struttura portante funziona, gli episodi scorrono veloci uno dopo l’altro, senza mai farti intuire il vero colpevole del caso, senza mai cadere nel troppo banale, e senza dare mai una caratterizzazione definitiva ai suoi personaggi. Lo spettatore riesce a passare sopra all’assurdo, ai problemi esagerati che coinvolgono i ragazzi, al copione che talvolta estremizza i fatti. E se ci riesce, è perchè il filo che tiene insieme il tutto è forte. Complimenti a tutti coloro che ci hanno lavorato.

6 pensieri su “Elite: la prima stagione

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