Elite: la seconda e la terza stagione

[Può contenere spoiler]

Dopo aver guardato e raccontato qui la prima stagione della serie, ho deciso di continuare la visione con le due successive. Elite, forse il secondo prodotto spagnolo più conosciuto dopo La casa di carta. Ambientato alla scuola superiore Les Encinas, i protagonisti hanno dovuto affrontare il dramma di una morte e le indagini per omicidio. Dove eravamo rimasti? Marina è stata uccisa, lo spettatore conosce i fatti e il vero colpevole, ma la polizia ha incriminato il ragazzo sbagliato. La detective non sembra essere altro che una pedina, raccoglie deposizioni e indizi ma non si espone, vittima anch’ella di un sistema che non funziona, e che vede nei soldi una sorta di incolumità. Il fratello di Samuel viene arrestato senza prove concrete, ma i nuovi episodi si propongono di ribaltare le cose.

Accantonato il personaggio di Marina, fulcro inevitabile della stagione d’esordio, la serie si apre a nuovi intrecci e nuovi personaggi. Samuel si trasforma da ragazzo passivo a eroe in azione, determinato ad aiutare il fratello e a scoprire la verità sull’omicidio. Una verità che conoscono soltanto in tre, ma uno è l’assassino, uno subisce un grave incidente, e l’altra è Carla. Carla, un personaggio femminile complicatissimo, intrigante, diverso dagli stereotipi a cui siamo tutti abituati. Da fredda calcolatrice a sola e innamorata, l’animo di Carla viene mostrato gradualmente, con delicatezza, dando respiro a un personaggio che sembrava sull’orlo del baratro, ma che riesce ora a trovare la strada per la redenzione. È la scoperta che non ti aspetti, perchè da che sei portato a odiarla, improvvisamente vorresti solo la sua felicità. Sbaglia, come tutti, ma i suoi sono sentimenti veri, la sua stessa paura è vera, perché si è infilata in un vicolo cieco da cui non riesce più a uscire. Sarà la chiave che Samuel proverà a usare per scagionare il fratello, ma Carla resterà combattuta fino alla fine tra il bene per un vecchio amico, e un amore sincero mai provato prima. La vediamo ridere per la prima volta, divertirsi, e aprirsi a quel mondo comune che Samuel si porta dietro. Da villain a mezza-eroina, Carla riuscirà a trovare la strada per redimersi, non senza affrontare i propri sentimenti e le conseguenze di tutte le sue menzogne. Con la terza stagione l’inquadratura si allarga, e tutti i tasselli che spiegano la sua personalità trovano un loro posto. Una madre rassegnata, sposata ai soldi più che a suo marito, e un padre disposto a manipolare la propria figlia pur di trarne un guadagno. Dietro la facciata di una famiglia ricca e perfetta si apre un mondo di sofferenza, di remissione, quasi di prostituzione, che porteranno Carla a cercare rifugio nella droga, perché al contrario di quanto si possa pensare, è un personaggio estremamente fragile, che non si apre facilmente agli altri, e che non crolla mai davanti a nessuno.

Il bello delle nuove stagioni è che, oscurando la figura centrale di Marina, non vi è più un collante tra i personaggi, e le vicende sfilano da una scena all’altra spaziando tra le tematiche, dando la giusta importanza alle vicende e il giusto peso ai personaggi, e costituendo il filo conduttore dei successivi otto episodi. Si ha modo così di approfondire la relazione tra Omar e Ander, l’uno di famiglia islamica e l’altro cristiano, un rapporto proibito da entrambe le famiglie, che porterà inevitabilmente a duri scontri e rovinose cadute. È forse la relazione più interessante di tutta la serie, la più difficile da raccontare, perché si parla di una battaglia così reale, quotidiana, una battaglia per farsi accettare, per poter vivere senza doversi nascondere. Ander si troverà davanti ad un bivio: sopportare il peso di una verità lancinante da soli, proteggere le persone care dal dolore e dalle bugie, oppure chiedere aiuto, distruggere un’amicizia in nome dei giusti principi? È facile giudicare da fuori, ma Ander è un ragazzo fragile, che nessuno ha mai ascoltato o capito davvero, un ragazzo che ha paura di perdere quello che ha, un ragazzo che fa fatica a dire di no a suo padre, figuriamoci raccontare di un omicidio. Ma come la vita riserva sempre delle sorprese, a volte anche brutte, come può esserlo una malattia, e nelle difficoltà si può essere portati a credere di meritarlo, o che sia una sorta di pena da scontare per quegli errori commessi in passato. Ma Ander troverà la forza per farsi perdonare, a prescindere dalla malattia stessa.

Sullo sfondo di questi intrecci segreti, Guzman deve affrontare il dramma più grande di tutti: ricucire quello squarcio provocato dalla morte di Marina. E capiamo quanto sia doloroso, quanto bene volesse a sua sorella e quanto fosse il solo della famiglia ad averla compresa. Lasciato da solo a sorreggere il peso di una famiglia distrutta, costretto a cambiare casa per un dissesto finanziario, il comportamento di Guzman è estremo, autolesionista, ma tanto umano e tanto tragico da apparire vero. È un ragazzo ferito, che cerca di nascondersi per non mostrarsi debole, chi non lo ha fatto almeno una volta nella vita? Si rifugia in se stesso e nei ricordi, alimentando una rabbia disperata che cade nel vuoto, come un pugno sferrato contro il muro. È essenzialmente solo, e davanti a sè ha una montagna enorme da scalare per poter ritrovare la serenità. Ma alla fine ci riesce, probabilmente anche prima di molti altri. Accantonata la rabbia, che può soltanto ferire e danneggiare, Guzman sceglierà di concentrarsi nel migliorare la propria vita, rinunciando al tentativo disperato di rovinare quella degli altri. E sarà una decisione chiave per comprendere la sua crescita, e quella dura elaborazione del dolore che richiede tempo, pazienza, e anche lacrime.

Dalla parte opposta del muro, il ragazzo che è stato la causa della morte di Marina compie il proprio processo di redenzione. Non è un percorso semplice, immediato, e men che meno lineare, ma a lui è stato concesso poco tempo per potersi riscattare, e ci prova, anche senza ricevere un immediato perdono. Non è un animo cattivo, è un ragazzo instabile e impaurito, protetto dalla famiglia e dalla scuola, che cerca conforto nelle persone, ma il più delle volte si tratta soltanto di finzione. E’ solo, e forse è proprio questo a scatenare il suo desiderio di fare ammenda, costituirsi alla polizia, raccontare la verità, a cominciare da quella sua stessa famiglia che avrebbe voluto tenerlo sotto una campana di vetro. E’ strano, perché il pubblico, da che era portato a odiarlo, improvvisamente si ritrova a provare pena per lui. Non è capace di affrontare il mondo, l’universo di responsabilità che gli piombano addosso, non sa come gestire quella colpa che nemmeno lui ha potuto perdonarsi, e quell’amore che rappresenta un rifugio dalla realtà. E’ consapevole di tutto, ma vive incastrato nelle sue paure. Il finale che avrebbe meritato era una seconda occasione, la possibilità di chiedere scusa, e di dimostrare che sta provando a cambiare. Otterrà soltanto due parole: Ti perdono. E sono un colpo al cuore se vengono dette mentre tutto si allontana, e la vita scorre via dal corpo ogni secondo di più. Sono quelle due parole a rappresentare il messaggio di fondo dell’intera serie. Un messaggio a tratti controverso, che non rispecchia i valori di una società meritocratica, che stravolge i ruoli dei poliziotti e dei cattivi, perché il sistema è ormai talmente corrotto da non poter essere cambiato. Così qualcuno pensa di potersi fare giustizia da solo, e qualcun altro decide che sia meglio scappare. Li accomuna una sola cosa: la resa. Davanti a una piramide del potere costruita col cemento, chi non ha i mezzi per scalarla si arrende. Come Samuel, innamorato di Carla ma consapevole che la sua ricchezza sarà sempre un ostacolo insormontabile. Come Lu, personaggio marginale che tenta di emergere con i propri meriti, ma che finisce per commettere gli errori più gravi di tutti. O ancora, come Rebeka, che trova il coraggio di chiedere a sua madre spacciatrice di cambiare vita, ma solo dopo aver visto con i propri occhi come la dipendenza possa uccidere.

Nella seconda e nella terza stagione di Elite manca un personaggio chiave su cui si fondava la serie, Marina, ed è un rischio enorme per una trama che si gioca tutto sugli intrighi di menzogne e relazioni personali. È un rischio enorme perchè Marina era un personaggio forte, ingombrante, a tratti scomodo. Eppure lo spettatore non sente la sua mancanza, perché è il frutto di un naturale processo di evoluzione, l’occasione per andare avanti assieme ai personaggi, superare la sua morte e affrontare le sue conseguenze. Non si stanca nemmeno dei misteri ancora irrisolti, perché conosce la verità, l’ha conosciuta prima di tutti gli altri, e vuole arrivare a una fine. Nuovi personaggi fanno la propria comparsa, senza sconvolgere gli equilibri della storia ma gettando le basi per costruire un filo, l’ennesimo, che si sviluppa in un’ascesa continua e irreversibile, fino al tanto agognato momento del diploma. Un simbolo in tante serie tv ambientate a scuola, è il giorno della svolta, il giorno in cui tutto cambia e molti personaggi se ne vanno per sempre. Difficile sarà decidere se e come ripartire. Non è scontato, perché dopo tre stagioni l’abitudine è troppo forte per poter essere sradicata con facilità. Ma la partita è ancora tutta da giocare.

Elite 3: Il trailer ufficiale della terza stagione fa un ...