Ciao nonno

Nonno, ti ricordi? Quante promesse che ci siamo fatti in ventiquattr’anni. Alla fine le hai mantenute tutte. Sei stato per anni un compagno di giochi, quando d’estate passavo le giornate a casa dei nonni, e tu mi portavi al parco, mi guardavi girare intorno alla pista sui pattini, poi tiravi fuori il pallone e mi lasciavi vincere qualunque partita. Nel pomeriggio, quando faceva troppo caldo per uscire, giocavamo a carte. Quante partite abbiamo fatto a quella strana versione di Uno, e quante volte ti ho battuto con i miei riflessi di bambina gridando “Uno spin!”. Abbiamo riso tanto, in quelle estati. Eravamo felici. E per me sarà sempre un ricordo speciale, riflesso in un parco ormai abbandonato, e in una pista di pattinaggio in cui non gira più nessuno. Poi sono cresciuta, e ci siamo visti sempre di meno. E’ naturale, la vita ti porta altrove, e a volte ti fa dare per scontate tantissime cose. Ma tu hai sempe voluto sapere tutto di me. Non ci hai mai capito molto di università, di esami, di lauree, in fondo tu avevi solo un diploma, e tutta la ricchezza che ti aveva dato la campagna da bambino, ma ogni volta chiedevi, e ti concentravi sulle mie risposte, come se la tua sola immaginazione potesse entrare nella mia testa e scoprire la mia vita. Quando nonna è venuta a mancare, ormai sei anni fa, tu mi hai detto una cosa: “Lei viveva per te”. Non l’ho mai dimenticato, sai? Come non ho dimenticato l’abbraccio di quel giorno, forse il più sincero di tutti, più di tutte le nostre abbracciatone che erano il nostro rituale. E nonostante il dolore di quella perdita, il vuoto di una casa che vuota non lo era stata mai, tu ti sei rialzato e sei andato avanti. Tra di noi c’è sempre stato un rapporto diverso, rapporto fatto di timidezza e curiosità, di silenzi e condivisione. Ricordo che durante la pandemia abbiamo smesso di abbracciarci, perché dicevano tutti che fosse pericoloso, ed era strano entrare in casa, guardarsi da un lato all’altro del tavolo, e salutarsi solo con un cenno di mano. Hai fatto in tempo a vedere il mondo in via di guarigione, e certo, non avresti mai voluto lasciarci con un governo di destra, e con una guerra alle porte dell’Europa. Ma non si ha potere su ciò che è più grande di noi. E in fondo le piccole cose ti hanno sempre ridato la speranza che in tanti avrebbero perduto. C’erano le telefonate degli amici, qualche sporadico pranzo fuori, e quelle lontane vacanze in collina che ti sei goduto fino all’anno scorso. C’era la tua baracca, dove sognavi con la stessa mente di quel ragazzino dell’istituto tecnico, disegnando su un foglio con la sola matita. C’erano i tuoi libri, quelli che non hai mai smesso di leggere, perché erano la tua maggiore compagnia. C’era il Bologna, che avevi imparato a seguire da un vecchio tablet tifando con il cuore. C’era il tuo computer, quello che accendevi seguendo le istruzioni, e che usavi solo per leggere Wikipedia e imparare ogni giorno cose nuove. C’era la voglia di uscire, e negli ultimi mesi la voglia di tornare a casa, anche se sarebbe stato tutto diverso e difficile da accettare. La tua era davvero una vita piena di cose. E in quella stessa vita mi ci metto anch’io, con quell’età di giovinezza e confusione che a volte sembravi capire più degli altri. So che hai sempre avuto un obiettivo: essere presente alla mia laurea, per darmi il tuo regalo. Lo avevi già pianificato, e avevi incaricato chiunque di ricordartelo, o di provvedere al posto tuo se tu non ci fossi stato. Ecco, alla fine ci sei riuscito, nonno, e per uno strano scherzo del destino è stata l’ultima volta in cui ci siamo visti. Era il mio ventiquattresimo compleanno, ed eravamo in uno dei soliti ristoranti, quelli delle belle occasioni, dei compleanni, e delle lauree. Siedevamo vicini, e in quelle poche ore abbiamo mantenuto entrambi una grande promessa. Tu mi hai dato il tuo regalo, una busta con mille euro, e i tuoi auguri scritti nella solita incerta calligrafia. In cambio, mi avevi chiesto una foto insieme. Volevi appenderla in casa, ma non hai fatto in tempo neanche a vederla stampata. Ci siamo commossi entrambi, mentre ci mettevamo in posa, come se in qualche lontana parte di noi sentissimo che quel momento sarebbe stato diverso. Tu dicevi di essere venuto male, eppure quelle foto, ormai esposte in casa mia, per me sono bellissime. Conservo un ricordo speciale, quello dell’ultimo abbraccio, e quel bacio sulla guancia che per anni, da piccola, non ho dato a nessuno. Conservo il ricordo di quella commozione, che a noi è bastata per dirci tutto quello avremmo voluto. So che quel giorno, in qualche modo, ti ho reso felice, e non importa quanto la vita sia cambiata in fretta, quanto le occasioni siano sfumate in pochi mesi. Non te lo nascondo, ero davvero convinta che ci saremmo visti di nuovo. Ma in un certo senso, forse anche quello più pragmatico, penso che sia stato giusto così. Te ne sia andato nel modo migliore, hai strappato le pagine di un ultimo capitolo, quello che ti avrebbe tolto l’autonomia, e hai portato con te i momenti migliori, le soddisfazioni, i ricordi. Pochi giorni prima di andartene, hai saputo della mia prossima assunzione. E so che sembra assurdo, ma nella mia testa è come se tu, prima di lasciarci, avessi voluto aspettare, verificare che tutti fossimo pronti a seguire la nostra strada. Non saprai altro del mio futuro, ma io sono contenta così. Qualcuno mi ha detto “Tuo nonno era orgogliosissimo di sua nipote”, e credimi, lo so. Lo so da sempre, e l’ho sempre saputo. Non cambierà mai niente di quello che abbiamo vissuto, né porterò rimorsi per i giorni che non ci sono stati concessi. Ciao nonno, ricordati sempre che ti voglio bene, e che anch’io sono orgogliosissima di te.

21 pensieri su “Ciao nonno

  1. Eh no Penny, così non si fa, mi hai commosso.
    La cosa bella è che i ricordi non te li può portare via nessuno, tienili lì in quel “file” speciale che hai riempito negli ultimi ventiquattro anni e ogni tanto riaprili, fagli prendere aria, e soprattutto custodiscili con cura.

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