Silent Party

Un venerdì sera di febbraio, in una piazzetta di Rimini, c’eravamo noi. Quattro pazzi a sfidare il freddo, con i guanti e i cappotti, con la voglia di divertirci nel tempo che ci dedichiamo. Siamo il gruppo delle uscite all’ultimo, che in pochi giorni si scrivono, propongono una serata, e organizzano una gita in riviera con l’entusiasmo di chi risponde: perché no? Facciamolo. E lo abbiamo fatto. Dopo il lavoro mi sono vestita, ho preso la borsetta più comoda, ci ho infilato il portafoglio e una piadina, e siamo partite. Non guidavo io, ma fungevo da navigatore, controllando la pagina di Google Maps, mentre in due macchine ci coordinavamo sugli orari. Abbiamo chiacchierato durante il viaggio, sfidando le nostre timidezze, raccogliendo argomenti dai nostri ricordi, e ridendo per i momenti più esilaranti delle nostre vite. E’ stato come guardarci da fuori, e scoprirci in grado di riempire quel tempo sospeso, in un’autostrada affollata dai viaggiatori del venerdì sera. Abbiamo cenato in un parcheggio, all’avventura, e in quei momenti mi sono sentita lontanissima dalla quotidianità, dai minuti che scorrono regolari, dalle uscite ordinarie nei nostri soliti locali. Sentirsi vivi per una piadina fredda mangiata in macchina… E’ quel mondo che un giorno ci lasceremo alle spalle, perché saremo troppo grandi, e le responsabilità non ci staranno più in quella stessa borsetta. Alle nove e mezza eravamo in piazza, riuniti in quattro, tre amiche e un fidanzato, con delle cuffie bluetooth in testa. Sembrava tutto deserto, a parte un banchetto un po’ arrangiato con tre console colorate sul tavolo. Poi dalle cuffie abbiamo iniziato a sentire la musica, e la serata è stata avvolta da un’atmosfera di festa, richiamando forse meno di cinquanta persone, lasciandoci spazio per ballare, ma catturando l’attenzione dei passanti come se fosse in atto un film. Chiudendo gli occhi, le cuffie mi trasportavano a casa, sola nella mia stanza, libera da qualunque sguardo che non fosse il mio sullo specchio. E invece ero lì, in piazza davanti a tutti, a ballare in quattro in cerchio, mentre qualche curioso si fermava per capire. Tre canali in cuffia, e attorno a noi il silenzio. A volte ci sintonizzavamo sullo stesso brano, altre volte ognuno seguiva l’istinto, e il ritmo sconnesso della folla era il dipinto del nostro entusiasmo, in quei passi improvvisati, in quei balletti campagnoli, in quei salti nella notte che rompevano il silenzio altrui. Mi sono chiesta come fosse vederci da fuori. Cinquanta ragazzi con le cuffie illuminate di blu, rosso o verde, a muoversi in una piazza come se la musica la stessero immaginando. Uno strano effetto, difficile da comprendere, immediato da sfiorare. Era febbraio, faceva freddo, eravamo al mare, eppure non contava niente, soltanto la musica e un incrocio di sguardi, senza doversi parlare, ritrovando una canzone in un gesto, o riconoscendo il testo da un sussurro istintivo. Eravamo chiusi nella nostra bolla, protetti dal rumore, spediti in una dimensione che era come un vasetto di vetro. Cantavamo senza ascoltarci, battevamo i piedi senza riuscire a sentirci, in un mondo ovattato che ci diceva soltanto: sentitevi liberi. Ed io, che a ballare in pubblico sono sempre stata un tronco di legno, per la prima volta ho capito cosa volesse dire quella libertà. A mezzanotte è finito tutto, e togliersi le cuffie è stato strano. E’ stato come riaffiorare dopo un’immersione di un paio d’ore, percepire di nuovo il mondo esterno, con il suo caos, il suo vociare, le sue parole portate dal vento, e nessuna bolla in cui potersi rifugiare. Ah, il silent party… E’ stata una bella serata, un gioco, una fuga, e nonostante il viaggio di più di un’ora lo avrei rifatto altre cento volte. Perché ci ho messo il tempo di qualche canzone, ma non mi sono mai sentita così a mio agio a ballare. E perché l’ho vissuta con le persone giuste, quelle che mi stanno insegnando a cogliere l’attimo, a non pensare, a fare ogni tanto anche qualche follia. E sono loro grata per tutto, compresa questa serata che forse per tanti è solo priva di senso, ma per noi è stato un altro momento da ricordare.

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