Una vacanza che non so se voler ricordare o dimenticare – Parte due

Parte uno

Ho sempre cercato di combattere gli stereotipi, di mettere in luce gli aspetti postivi, e di riconoscere anche al Sud Italia quel valore che in tanti vogliono negare. Ma la verità è che ad oggi faccio tanta fatica. Ho trascorso sei giorni a Gallipoli, con altre tre ragazze, e non mi sono mai sentita così fuori posto come allora. In un luogo dove il maschilismo regna sovrano, dove si pensa ancora che le donne debbano occuparsi della casa, e dove il proprietario ci ha consegnato lo stendino chiuso dicendo “Apritelo voi, ‘che sono cose da donne“. Non ci avevo mai sbattuto la testa in questo modo, e forse non mi ero mai resa conto appieno di cosa significhi essere donna, camminare per strada, e sentirsi vulnerabile. Quattro ragazze da sole, lì dove la cultura è rimasta a un paio di decenni fa.

Sembra banale, ma non saprei dire in quanti abbiano suonato il clacson al nostro passaggio. Non è bello, non è piacevole, non ti fa sentire al sicuro. Una sera un’auto si è fermata per farci attraversare, e mentre eravamo sulle strisce ha iniziato a strombazzare. E’ questo il modo di comportarsi? Di dire a una donna che è bella? Di farle un complimento spontaneo? Siamo estranee che passeggiano, turiste vestite bene, ragazze di ventidue anni, da sole. E’ questo che fa la differenza? L’assenza di un uomo? Il divenire oggetti quando usciamo tra noi?

Eppure non è stato solo questo. In spiaggia, al tramonto, ci stavamo scattando delle foto. Ci divertivamo a scherzare, a fare le cretine davanti all’obiettivo, ad alternare scatti spontanei a pose più sensuali. Ce ne stavamo per i fatti nostri, con il telefono in bilico sulle borse, l’autoscatto impostato e nessun altro. Un ragazzo della nostra età si è avvicinato, dopo averci viste con il didietro rivolto al cellulare, e ci ha detto: “Faccio finta di non aver visto“. Ma visto cosa? I nostri posteriori in costume? Una foto scema di quattro ragazze in vacanza? Un momento soltanto nostro che non violava nessuno? Eppure, credetemi, sul momento ti fa pensare. Ti chiedi se in fondo non hai fatto qualcosa di male, se non sei tu ad avere torto, se non hai sbagliato qualcosa. Ti fai un esame di coscienza, perché quello che ha detto, il modo in cui lo ha detto, ti ferisce.

Eppure, di nuovo, non è stato solo questo. E’ l’arroganza, quello che più ha fatto male. La sensazione di non avere diritti, di essere esposte alle derisioni, di non poterci incazzare, perché siamo donne e dobbiamo stare al gioco.

Camminavamo con le mascherine in centro storico, e un ragazzo ha fermato una di noi. “Tirati giù la mascherina“, le ha detto. Istintivamente lo ha fatto, e quello l’ha guardata, come si può guardare dentro la pentola quando alzi il coperchio: “Mm, no, è meglio se te la ritiri su“. Non è divertente. E’ un’offesa. E ci sono ragazze che potrebbero davvero starci male, ragazze che fanno fatica a piacersi, ragazze che non hanno autostima, ragazze che danno peso anche agli insulti degli sconosciuti. Ci siamo rimaste male noi, figuriamoci una ragazza più giovane, o più fragile, o più insicura.

Ancora. Una sera ci siamo fermate in due davanti a un pub, perché le altre ragazze dovevano andare in bagno. Mentre la mia amica chattava al cellulare, un uomo sulla cinquantina si è voltato, ha cominciato a fissarci, a dirci qualcosa, ad indicarci, io mi sono spostata e l’ho trascinata con me, ma quello non ha smesso di puntarci gli occhi addosso. Quando ci siamo ricongiunte e siamo passate davanti all’uomo, lui ci ha gridato contro, “Perché lei si è girata e tu no?!“. Non scherzo, ho avuto i brividi. Ho immaginato che avrebbe anche potuto alzarsi, seguirci e Dio solo sa che altro. Aveva uno sguardo violento, penetrante, spaventoso.

Le prese in giro non sono meno fastidiose. Stavamo pedalando in bici verso casa, di ritorno dalla spiaggia, in un tratto in salita. Un tizio vede passare le prime due di noi, si ferma, e si volta a guardare le altre due, compresa me. Avrebbe potuto stare zitto, ma non lo ha fatto: “Se volete stare con loro dovete pedalare più veloce! Oissa, oissa!“. Ma perché? Ma chi te lo ha chiesto? Ti diverte vedermi faticare? Ho suscitato la tua ilarità mentre sudavo sulla bicicletta?

Una sera, invece, entriamo in un negozio di sandali artigianali. Una di noi è particolarmente freddolosa, non sopporta l’aria condizionata, e proprio quella sera tirava un vento che neanche a Trieste, indi per cui indossava un cardigan pesante e una sciarpa. Il negoziante avrebbe potuto stare zitto, ma non lo ha fatto: “Mettila un’altra sciarpa, la prossima volta!“. Di nuovo, ma perché? Ma chi te lo ha chiesto? Ma non saremo libere di vestirci come ci pare?

Voglio chiudere questa carrellata con il nostro amabile vicinato durante i sei giorni di vacanza, ovverosia due signore anziane che a qualsiasi ora del giorno e della notte spuntavano dai balconi per dirci qualcosa. Una mattina in cui siamo uscite in fila indiana, una di loro ci ha detto “Buongiorno“, ma le prime due della fila, non avendo sentito, non hanno risposto. Così lei, tutta stizzita, ci ha urlato dall’alto “Vi ho salutate, ragazze! E chiudete il cancello!!“, mentre stavamo ancora uscendo.

Dopo sei giorni posso dire di aver esaurito la pazienza. Siamo tornate a casa stanche, arrabbiate e deluse. Siamo tornate con la promessa di non andarci mai più. E siamo anche tornate con il dispiacere di aver toccato con mano quelle credenze che io invece ho sempre negato. E’ vero che il codice della strada sembrava non esistere. E’ vero che le auto sfrecciano, non guardano dove vanno, fanno sorpassi pericolosi, e non rispettano i segnali. E’ vero che le strade sono sporche, con cataste di sacchi della spazzatura, bottiglie gettate a terra, topi morti sul marciapiede e blatte sui muri. E’ vero che tutti sanno tutto di tutti, che l’amico del cugino del proprietario di casa conosce dove hai noleggiato le biciclette, che la discoteca chiusa in realtà ha riaperto con un altro nome, che la polizia controlla soltanto dove vuole lei, che delle navette abusive non si lamenta nessuno. E’ vero che il mare è stupendo, ma forse non basta. E dispiace, perché sarebbe un luogo bellissimo, una perla del nostro paese, e sarà anche capace di intortare i ragazzini, ma quello che Gallipoli mi ha lasciato è stata soltanto un’immensa, profonda tristezza.

17 pensieri su “Una vacanza che non so se voler ricordare o dimenticare – Parte due

  1. Quello che scrivi qui è decisamente più desolante rispetto alla descrizione dell’appartamento.
    Non siamo indietro di 2 decenni, ma almeno di 4.
    Maschilismo imperante, 4 ragazze sole in certi ambienti non lo concepiscono. E ti fanno sentire inadeguata, e vulnerabile (che è peggio).

    “Faccio finta di non aver visto“
    Può voler dire tante cose, tutte negative.
    Esprime un pensiero antiquato, esprime maschilismo, disprezzo, ed anche “omofobia”, laddove chi ha detto queste parole pensasse in un certo modo.

    • Esatto, hai espresso perfettamente quello che abbiamo pensato… si poteva immaginare il pensiero comune che prevale soprattutto nel sud italia, ma non ci aspettavamo di certo che venisse esternato così. È stato molto deprimente

  2. Ma che gentaglia. Non ho parole. Allibita della battuta è meglio se la tiri su…ma che razza di ignoranti, tralasciando le megere
    , magari mie coetanee. Da quel che racconti sembra proprio uno strano destino. Gallipoli e da evitare ma è sicuro che non ci andrò mai dopo la vostra esperienza allucinante! Ma perché non metti

    No comment. Veramente due Italie e gli ignoranti, complessati sembrano abbondare.😔😔😔Gallipoli: da evitare, karma o non karma. Metterei una recensione feroce a riguardo, sottolineando il poco rispetto delle donne( la mascherina la rimetterei che è meglio? Potessi sarebbe stato da tirargli giù la patta e tagliarlo di netto! Dopo aver riso del suo “formato biro bic”…🤣🤣

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