Non stancarsi mai, non smettere mai di stupirsi, e di sognare un paradiso nascosto ancora da vedere. Cambiare albergo, perché le spiagge più lontane sembrino quasi dietro l’angolo, cambiare paese, cambiare strade, quelle che ormai sembravano casa. Panormo è piccola, minuta, una stanza per chi vi abita, un riparo per tutti quei micetti miagolanti, per la donna del pane, per i ragazzetti della sera. E la sua spiaggia è familiare, con un baretto sul mare tutto caldo e gentile, allegro come può esserlo chi ama il proprio ritaglio di vita.
Alle gole di Samaria non si passa per caso, dodici chilometri in cui pare di essere giunti in un altro paese, minuscoli sotto l’imponenza maestra delle montagne, quasi scavate dal tempo per ricavarne la strada, non si può che guardare verso l’alto.
Si arriva poi al monastero di arkadi, e che dire dell’esplosione di colori, di stanze, di labirintiche porte che si aprono e si chiudono, lasciando dietro di sé ricordi e vedute di finestre.
Quando la stanchezza si fa poi sentire, basta farsi trasportare dal cuore, e si giunge alle spiagge più vicine, mezz’ora almeno d’auto, incantevoli come scoperte istantanee. Adelianos Kampos è la spiaggia lunga e sabbiosa di Rethymno, ampia come un abbraccio, morbida da sprofondare con i piedi sul bagnasciuga. È il primo mare cattivo che incontro, schiumoso e arrabbiato, che prende a schiaffi antichi pontili di cemento armato, ed una roccia solitaria che si erge a pochi passi dalla riva. Un bar grazioso ci accoglie, una matta signora greca che trotta con i vassoi in mano, niente da rimproverare, anche se affollata, perché il silenzio lo si trova ovunque. Spingendosi oltre, oltre il confine dello sguardo, quasi si scorge una fine, vagamente sognata, di qualche tetto della città e qualche sasso sperduto.
Ferragosto comincia con un paio di nuvole bianche, cielo a pecorelle acqua acqua catinelle si dice, così si prende la volta di Cnosso, e del museo archeologico di Candia, a Heraklion. Un tuffo nel passato della civiltà minoica, tra antichi vasi e vecchi gioielli, statuette e coltelli, ventidue stanze che attraverso cercando la meraviglia, senza riuscire a immaginare quasi la grandezza di quel popolo. Ingegnosi, illustri, hanno costruito meraviglie che noi oggi conserviamo e curiamo da esempio.
Il palazzo di Cnosso è come in cartolina, quasi un falso, perché nel Novecento è stato ricostruito, perché il labirinto delle favole non esiste, ma c’è qualcosa. Tra quelle rovine, c’è qualcosa. Un buffo signore greco racconta in italiano i dettagli più curiosi, amorevole nel suo conoscere la nostra lingua e riuscire a scherzare, un brivido mi percorre quando lo sento parlare, perché il palazzo conteneva millequattrocento stanze: il palazzo era il labirinto. I minoici sono riusciti a fare questo, prima del Partenone, prima dei romani, prima di noi.
viene voglia di partire subito
Se vuoi riparto con te 😆
Con noi 👍
Giusto 😅
Ma sai che scrivi proprio bene? Non un giro turistico ma tante sensazioni vissute buttate lì come fosse un capitolo di un libro di fiabe. Bravaa 🙂
Ma grazie davvero! 😘 Ho cercato proprio di rendere in primo luogo le sensazioni :))
È proprio quello che cerco di fare io attraverso i miei resoconti di viaggio. Ciaoo
E ci riesci, sei il mio punto di riferimento per i viaggi 😀
Ma grazie piccola. Non pensavo di riuscire a colpirti fino al punto di essere il tuo punto di riferimento. E’ veramente un piacere 🙂 Notte 🙂
Dolce notte! 😘
Mi piace molto come l’hai raccontata…complimenti!
Grazie di cuore! 😘