Ti va un caffè?

Ad ogni stagista nuovo che entra in ufficio, è come se mi rivedessi allo specchio. Stesse aspettative, stessa determinazione, stesso entusiasmo per le esperienze nuove, perché non abbiamo mai avuto una scrivania tutta nostra, un computer aziendale o un badge per entrare. Mai. È il nostro ingresso nel mondo del lavoro, un passo dopo l’altro, con umile timidezza, con un po’ di timore. Abbiamo voglia di imparare, fretta di sporcarci le mani, la capacità di sbagliare e una sconfinata curiosità. Siamo tutti uguali, in fondo. Ragazzi che si avviano su una barca di legno in mezzo al mare, chiedendosi se la struttura reggerà. Abbiamo ancora il ricordo fresco del tempo universitario, quello spensierato, libero, lontano dalle vere responsabilità. In ufficio siamo quelli che imparano, quelli che hanno meno risposte degli altri ma ci provano, quelli che aspettano le occasioni per dimostrare, quelli che a volte bussano a porte invisibili per farsi ascoltare. Siamo quelli dai mille caratteri, non sempre facili da gestire, ma con un mondo dentro da raccontare. A volte vorremmo poter cambiare tutto. Perché non è facile ricavarsi uno spazio, entrare come stagisti in un ufficio di grandi, ma è un passo che compiamo tutti, e questo ci fa sentire forse più vicini. A tutti i nuovi ragazzi che sono entrati, io ho cercato di offrire un sorriso. Nonostante la timidezza, nonostante per me significhi abbattere più di un muro, io ho fatto per loro il primo passo. Sono stata nei loro panni, e so quanto conti sentirsi accolti, essere guardati come persone più che come nuovi arrivati. Quando la stagista ero io, ricordo che una collega mi chiese se volessi un caffè. Probabilmente mi aveva guardata in faccia, notando la mia difficoltà nel sentirmi a mio agio, e in qualche modo aveva capito che avevo bisogno soltanto di questo: di un gesto, uno sguardo, un invito ad entrare con entrambi i piedi in quel nuovo mondo. Così a tutti i nuovi stagisti, il primo giorno ho sempre chiesto se volessero un caffè. Magari non si sentivano persi quanto me, magari erano ben capaci di cavarsela da soli, ma non importa. Ho sempre voluto imparare a lasciar comandare l’istinto, e in questi rari casi ci sono riuscita. In fondo siamo pur sempre ragazzi, nati nello stesso anno, forti dei nostri sogni, della nostra speranza di cambiare le cose. Siamo piccoli ingranaggi in quelle aziende che sanno accoglierci, investimenti da valorizzare, piantine da far crescere mentre scorrono le stagioni. Siamo cassetti da riempire, in attesa che si trovi la chiave. E questo ci avvicina, ci porta a condividere, a camminare insieme, a non sentire la competizione sulle spalle, neanche se il palio c’è un contratto di assunzione. È bello, in fondo. Perché l’ufficio prende tante forme, e fa sentire tutti un po’ più a casa. A volte basta davvero così poco… Qualcosa che diamo per scontato, o che sottovalutiamo, un gesto qualunque, che può fare davvero la differenza. Come offrire a qualcuno un caffè.

6 pensieri su “Ti va un caffè?

  1. Anche noi abbiamo spesso stagisti, di vario tipo.
    In questo momento ne abbiamo 3, una ragazza in contabilità (400 ore, formazione universitaria), e 2 in “ufficio formazione” (1 anno ciascuna, laureande in “psicologia del lavoro”, sarà per loro una ottima esperienza).

    Il problema è che spesso si tratta di sfruttamento, perché svolgono lavori per i quali non si viene pagati o al massimo c’è un rimborso spese ridicolo.

    • Infatti mi ricordo che me lo dicevi. Purtroppo negli stage si trova di tutto, dallo sfruttamento all’abbandono, chi sottopagato e chi lasciato a piedi dopo i 6 mesi. Con le dovute eccezioni, certo, ma se per le aziende sono un risparmio…

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