Lo so

Messaggi che riaprono contestualmente vecchie ferite. Ricordi che tornano a galla tra le fessure di una banchina di legno. Fantasie cancellate e rimaste incisioni, impercettibili ferite del foglio, che alla luce del sole ricalcano un futuro che non c’è stato. A volte bastano un paio di coincidenze, voci ormai soffuse che chiamano il tuo nome, solo per riempire il tempo di vane parole. Frasi nero su bianco, che tra le righe accolgono emozioni celate, pensieri tagliati di netto, e sentimenti rimasti appesi, come quadri ad una parete dopo un trasloco. Sovrappongo quei volti, e mi ritrovo lo spazio della speranza, un cassetto svuotato dai vecchi rancori, e le rincorse ai sogni impossibili che non ho mai voluto buttare. Ritrovo i sorrisi sinceri, la gioia dei piccoli momenti, l’immediatezza degli sguardi, che cercavano un portone chiuso in attesa di vederlo aprire. È un passato che si allontana, un vecchio amico spinto a forza via, un capitolo chiuso in cassaforte con un codice scritto ad occhi chiusi. Eppure quel nome è sempre rimasto lì, oscurato dalla paura di non riuscire a dimenticare. E riflettendoci, forse è stata la cosa più vera mai provata in tutti questi anni. Ritorna a galla dietro il nome di qualcun altro, insieme alla consapevolezza che non sarà mai la stessa cosa, ed io non sarò mai la stessa versione di me. Dare importanza ai gesti spontanei, cedendo per egoismo all’illusione che fossero speciali, mi ha fatto capire che dietro un sentimento c’è uno spettro di colori, gocce che a pioggia riempiono le tele, e giocano tra le fibre senza pretendere di copiare, di riprodurre un’immagine vista altrove. Cosa rimane di tutto questo? Forse un vecchio museo, che conserva al freddo quelle immagini di cui a stento ricordiamo il significato. Ma i ricordi non si cancellano, come non si cancellano i messaggi che pur non ho più letto da allora. Le coincidenze portano ad un confronto, e in quel sovrapporsi di parole ho capito di avere già tutte le risposte. Si tratta solo di ammetterle, guardare in faccia quella punta di orgoglio ancorata al passato, e stringere la mano in segno di pace alle paure con cui ho imparato a lottare. Non posso cercare tra quelle righe la stessa trepidazione, la stessa insicurezza, la stessa ansiosa felicita. Non posso indossarle come una veste di carta, un involucro troppo grande che sfrega la pelle, e che al primo vento di libera in aria portandosi dietro gli scudi alle fragilità. E non posso fuggire dai nomi che rincorrono, messaggi che si susseguono, e mi trascinano per un braccio nei ricordi che ho voluto archiviare. È tutto qui. In una verità scritta nero su bianco, come un messaggio senza destinatario, rimasto in sospeso con un punto e virgola, che ancora non riesco a completare. È l’ammissione che la distanza non è una forbice, non è un tasto da premere per chiudere tutto senza salvare, e non annulla in un istante l’orizzonte che abbiamo sfiorato. Davanti agli occhi ho gli stessi colori, una figura rossa d’imbarazzo, che mi guarda e, mentre scarabocchia su un foglio pochi versi, mi sussurra in soffio: lo sai.

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