Penso non sia scontato

Quando ti lasci alle spalle il mondo universitario, tutti iniziano a ripeterti “Stai attento a ciò che dici ai colleghi, ci sono cose che devi tenere per te“. Come se improvvisamente la trasparenza non fosse più consentita, come se certi temi dovessero restare sotto a un tappeto. Ma nonostante un ingresso non facile, io tra le scrivanie ho trovato un pezzetto di sincerità, e mi basta a comprendere quanto non sia scontata, quanto da fuori possa sembrare pericolosa, e quanto in realtà sia un valore da proteggere. Capitano giornate in cui semplicemente ci si siede a parlare, e tra una battuta e l’altra ci si confronta sulle proprie vite. Buttiamo i problemi sul tavolo, senza nessuna vera risposta, in nome di quegli ideali che condividiamo perché abbiamo ancora il sogno di cambiare le cose. E in quei momenti non conta se usiamo parole sbagliate, se ridere sarebbe fuori luogo, se dovremmo già essere tornati alla scrivania. In quei momenti conta soltanto capirsi, sapendo pochissimo gli uni degli altri, ma valicando i confini dell’artificiale formalità. E’ una fortuna, perché è anche questo che ti fa crescere. L’età diventa un numero, schiacciato dalle esperienze che ognuno può raccontare, e svanisce la paura di dire la cosa sbagliata, perché prevale fiducia, magari irragionevole, magari troppo giovane, che ci fa sentire parte della sessa avventura. Sono quelle giornate in cui l’ufficio si trasforma, e ti fa respirare una libertà dimenticata. Si perde la rigidità dei confini tra le persone, si scherza sui numeri che non tornano, o su quel tizio che telefona sempre dal corridoio. Ci si sente vicini, come se in quei piccoli frammenti di tempo potessimo abbattere i muri e costruirli altrove. Ti insegnano a non darlo per scontato, e quasi a non crederci, perché certi discorsi sembrano solo inopportuni. Ma si vive insieme un’illusione, figlia dell’entusiasmo immotivato dei giovani, l’idea che si possa essere sinceri, che ci si possa davvero sedere vicini, senza il pericolo delle voci che corrono, o di un pettegolezzo rubato. Quando si è soli in ufficio, diventa tutto naturale. Forse è il nostro modo di capirci, la nostra occasione per ascoltarci, o un desiderio che crediamo impossibile perchè i più grandi ci insegnano così. Non ci sono capi, solo ragazzi, che non vedono mai il bicchiere completamente pieno o vuoto, e che si fanno domande, cercano negli altri le risposte, perché in fondo è più facile spiegarsi, e scoprirsi più simili di quanto si potesse immaginare. Una giornata qualunque a inseguire le pause, sul finire della settimana, per riprendere i discorsi lasciati a metà. Una giornata di quelle che ti fanno pensare: “Lo dicevano tutti, ma magari quei tutti a volte sbagliano“. E anche se il giorno successivo sarà diverso, in un ufficio nuovamente muto ed impegnato, il ricordo di quei momenti sarà sempre una porta socchiusa verso i colleghi li hanno vissuti con noi.

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