Tante volte ho pensato di rendere pubblico un mio pensiero, trovare il modo di farlo arrivare alle persone che mi stanno accanto, ma non ci sono mai riuscita. Forse un po’ per mancanza di coraggio, forse perché ancora ho paura di essere giudicata. Vorrei lasciarlo lì, in bella vista, come una vecchia cartolina appesa al frigo, e aspettare che siano gli altri a scorgerlo da lontano, ad avvicinarsi per curiosità, e chissà, magari a capirmi, o a restare semplicemente sorpresi. Ci ho pensato mille volte, ho preparato infinite bozze, ma poi ho sempre rinunciato. Non lo fa nessuno, così temo di catturare l’attenzione, temo che una folla si assembri davanti a quella cartolina, e un testo di poche righe possa trasformarsi in un caso sensazionale. Ma che altri modi conosco? Non sono la persona che viene da te a parlare, figuriamoci a descriversi come farebbe davanti a un foglio bianco, con una penna in mano. Non sono nemmeno la persona che ti scrive un messaggio, perchè la maggior parte del tempo lo passa a scherzare. No, io sono più quella che lancia il sasso, lascia la mano lì, in un angolo, e segretamente spera che non venga notata mai. Il comportamento più sciocco, sì, probabile. Ma nell’era del digitale siamo tutti un po’ fantasmi, tutti scrittori invisibili, tutti maghi che nascondono i sentimenti in fotografie. Quanto è più facile buttare tre emoji sullo schermo, silenziare i pensieri e fingere di averli scritti, perchè sono chiari solo per noi. Noi sappiamo cosa c’è dietro a quello stile comunicativo, che per i miei genitori è ancora un rebus fatto di animaletti e faccine da esplorare. In pochi, in realtà, mettono nero su bianco delle vere parole. E’ quello che da tempo progetto di fare io, una volta ogni tanto, per chi avesse meno frettta degli altri e più interesse, per chi si prendesse la briga di fermarsi un minuto a leggere. Uno sforzo gratuito, di cui magari non si accorgerebbe nessuno. Ma sarebbe come riuscire a pronunciarle, farle arrivare a destinazione, dare un senso a quelle righe scritte decine di volte, perchè se ricordo di avere un destinatario allora la frase non mi piace mai. Vorrei parlare di me. Vorrei spiegarmi. Vorrei presentarmi. Vorrei essere al cento per cento sincera. Si può fare su un social network? Si può fare a distanza, senza in realtà rivolgersi a nessuno? E avrebbe senso – mi chiedo – farlo con quel ritaglio di parole, con un estratto di una storia di otto anni, in cui forse di me ho detto più che a qualunque amico? Probabilmente aspetto quell’istante di coraggio sfrenato, di quel momento in cui non me ne fregherà di nessuno. Capita, a volte. Solo che spesso dura il tempo di prendere quelle parole e lasciarle lì, a giacere senza aver premuto il tasto invio. Riflessioni di una nativa digitale, perché no, non sono solo muti profili, non sono solo raccolte di ricordi, non solo solo strumenti per fare gli scemi. A volte, su quei social network, sappiamo anche essere veri. Problemi, paure, esperienze, traguardi. Un puzzle destinato ad essere incompleto. Ma se dovessi colmare uno spazio vuoto di quella cornice, lo farei partendo da ciò di cui non sono mai riuscita a parlare a nessuno in modo esaustivo.
Timidezza è entrare in ogni stanza nuova in punta di piedi. Timidezza è uscire da un cerchio per mettersi in seconda fila. Timidezza è quell’imbarazzo quando è il nostro turno di parlare. Timidezza è ascoltare gli altri pensando a cosa dire. Timidezza è anche un paragone. Chiedersi come si conversi senza paure. Trovarsi con troppi non detti in una tasca, perché le risposte arrivano dopo ore. Timidezza è preferire l’ombra senza un vero motivo. Timidezza è fuggire uno sguardo per istinto. Timidezza è chiudere i sentimenti con troppe chiavi. Timidezza è a volte farsi scudo con l’ironia. Timidezza è spesso un peso che non abbiamo scelto di portare. Timidezza è tra i difetti più difficili da spiegare. Timidezza è quella fragilità che cerchiamo invano di proteggere. Timidezza è la goffaggine di un carattere mascherato. Timidezza è un foglio bianco che copre un testo appena battuto. Timidezza è quattro mura, pur in assenza di nemici. Timidezza è quel passo indietro, quella domanda per lasciar la parola, quella battuta per spezzare il silenzio, perché è più facile che parlare di sè. Timidezza, sembra a volte una giustificazione. Ma timidezza è spingersi avanti, bussare a porte invisibili per non disturbare, e pesare uno sguardo come un metal detector che ogni volta suona per gli orecchini. Timidezza è una domanda – che cosa posso dire? -, un dialogo nella testa, che non vogliamo mostrare.
Timidezza è – https://ilmondodelleparole.com 2023/03/20/timidezza-e/
timidezza è quello strumento che senza che tu abbia deciso di usarlo, più di ogni altro, ti porta a conoscere te stesso in un modo così vicino alla tua essenza più profonda da farti temere, spesso, senza ragione di non essere protetto.. e allora ti imponi di proteggere la parte probabilmente più bella ti te tenendola al riparo da ogni possibile fonte di inquinamento..
ad oggi non ho ancora chiaro quanto questo possa essere un bene o un male per ogni singoli individuo che la vive e per ogni singolo individuo che la subisce..
Hai descritto molto bene ciò che intendo. Se sia un bene o un male penso dipenda tanto anche dalla situazione, e dalla persona che c’è dall’altra parte
…e dal trascorrere del tempo… 😉