Quella gita a Dozza sul finire dell’estate

Solitamente metto tutto nero su bianco, qualunque ricordo, qualunque giornata speciale, per poterla rivivere scorgendo tra le righe le vecchie emozioni. Eppure c’è un episodio che non ho mai raccontato, e non perché fosse meno importante, anzi. Ed è un episodio in cui ritrovo tante belle immagini, sorrisi sinceri, risate spontanee che un po’ mi mancano, perché mi manca quella persona. Eravamo in due, nella mia macchina, dirette a Dozza. Ci eravamo conosciute circa due anni prima, all’inizio del corso di laurea magistrale, sedute l’una davanti all’altra, in attesa del professore. Io mi sono voltata e ci siamo strette la mano, e da quel giorno tutto è stato diverso. Ho trovato in lei un’amica, un punto di riferimento, una persona buona, un’ascoltatrice, una consigliera, un esempio per la sua forza di volontà. Non pensavo che due anni sarebbero bastati, e invece l’idea di vederla partire mi riempiva di malinconia. Aveva scelto di tornare a casa, e non potevo far altro che rispettare la sua decisione. Così, in una delle ultime occasioni, sul finire dell’estate, l’ho caricata in macchina e abbiamo imboccato la strada della collina. Dozza è un borghetto minuscolo, due strade appena, ma talmente unico da essere divenuto quasi famoso. A Dozza si svolge la Biennale del Muro Dipinto, e non c’è una parete che sia spoglia di disegni e murales, alcuni più sbiaditi, risalenti agli anni Sessanta, altri freschi di pittura, firmati da artisti italiani o internazionali. Sembra una galleria d’arte a cielo aperto, e ad ogni immagine l’istinto è quello di fermarsi, scattare una foto, e perdersi a ragionare sul significato nascosto, sulla storia che avrebbe voluto raccontare. A Dozza siamo arrivate presto, prima di tutti i turisti, e approfittando di quel silenzio immacolato ci siamo fermate in un bar per una seconda colazione. Il tavolino dava su una delle due strade principali, posto sotto un antico porticato e accarezzato dal sole. Sembrava di essere approdate in un’altra epoca, in un luogo distante da tutto, protetto in una bolla di autenticità. Abbiamo trascorso la mattinata insieme, a passeggiare tra i murales, scattando fotografie, seguendo i gatti appollaiati al fresco, e cercando rimandi alla nostra vita universitaria, riconoscendo un compagno o un professore in qualche figura informe sulla parete. Le nostre risate hanno rotto il silenzio delle vie, e i nostri passi sfalsati ricordavano quanto fosse più alta di me, come riflesso nelle ombre che ci seguivano da dietro. Era così semplice, così naturale, come se non fosse necessario spiegarsi, come se anche il silenzio facesse parte del nostro equilibrio. Dopo aver percorso l’intero borghetto, abbiamo deciso di visitare la Rocca. Era piccola, ben tenuta, e costava appena tre euro d’ingresso. Ricordo che ci hanno dato un depliant su una mostra di porte, e su quella mostra, da cui siamo prontamente fuggite, abbiamo scherzato per tutta la giornata. Una cavolata, uno dei tanti momenti semplici della nostra quotidianità. Dalla torre, sullo sfondo delle colline bolognesi, ci siamo fatte un paio di foto, cercando di racchiudere in uno scatto una giornata che sapevo sarebbe stata unica. Forse era una specie di regalo, una mattinata che ci siamo dedicate dopo due anni di lezioni e lavori di gruppo, di studio e di caffé prima degli esami. O forse era solo un modo per continuare a conoscerci, poco prima del traguardo, approfittando anche degli ultimi metri. Dozza è stata un’ambientazione perfetta, quasi magica, colta nel suo pigro risveglio, illuminata dai suoi colori, e avvolta dai profumi autentici della cucina bolognese. E’ stato come visitare un piccolo scrigno, immutato nel tempo, decorato ogni due anni, dove ogni orologio sembra scorrere più lentamente, e il vociare dei turisti si disperde tra le porte e i balconi. Averla visitata con lei, in un certo senso, lo ha reso perfetto. E sulla via del ritorno, con i finestrini abbassati per respirare l’aria pulita, mentre ancora ridevamo per la mostra sulle porte e le foto venute male, mi sono resa conto di quanto il tempo, in realtà, non contasse niente. Perché in due anni avevo trovato un’amica, e anche se presto sarebbe diventato più difficile, io ero sicura che ci saremmo viste di nuovo.

7 pensieri su “Quella gita a Dozza sul finire dell’estate

  1. Ho letto il tuo racconto tutto d’un fiato. Parole semplici che scorrono veloci e non ti stancano. È questo che rende magico un post. Invidio un po’ il tuo saper esporre in maniera meravigliosamente semplice. Quando ti si legge non servono foto per tenerti incollata allo schermo io, invece, non avendo questo dono faccio parlare i miei scatti. Un abbraccio e qui di seguito ti invio il link della mia magica giornata a Dozza. Noto con piacere che questo borgo minuscolo conquista sia grandi (io) che piccini (tu). Baciii
    https://viaggiandoconbea.com/2022/01/23/dozza-il-borgo-del-muro-dipinto/

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