Il mio rapporto con lo smart working

Smart working. Forse la parola poù usata – e abusata – dal primo giorno di pandemia. Pensavo che lo avrei odiato. E invece, probabilmente, abbiamo fatto pace. E’ un risparmio di benzina, di tempo, di fatica, un’opportunità per riempire la giornata al meglio, incastrare un pasto caldo, mezz’ora di cyclette, una nuotata in piscina prima di cena. Però. Eh, però. Però ci sono le voci fuori dal coro, come la mia, che a volte immagina che lo smart working non sia mai stato inventato. Lavorare da casa è comodo, e non posso negarlo, ma dopo un paio di mesi quel salotto smette di essere un salotto, quella presa di corrente smette di essere una qualunque presa di corrente, e l’istinto di sedersi a quel tavolo svanisce fuori dalle consuete otto ore. Il silenzio diventa un collega, il tuo vicino di scrivania. E mi rendo conto che tutto il resto un po’ mi manca. È una routine, fatta di piccoli momenti, di impercettibili occasioni, che danno una forma a quelle giornate apparentemente uguali.

Svegliarsi e correre a fare colazione, vestirsi in fretta, riempire lo zaino e uscire di casa. Lamentarsi del traffico, che è lo stesso ogni mattina, ma sembra sempre aumentare. Parcheggiare e attraversare il centro commerciale, poi il vialetto e arrivare in ufficio. Timbrare il badge, salire a piedi le scale, e intanto fare mente locale sul lavoro da fare. Salutare i colleghi, accendere il computer, poi passare dalla sala break a riempire la borraccia, e perchè no, prendere un secondo caffè. Costringersi a fare una pausa ogni due ore, perché la legge e la salute vogliono così. Dirigersi all’una in saletta con il pranzo, un riso o un cous cous, e commentare sempre gli sbalzi di temperatura. Chiacchierare di tutto, delle notizie del giorno, di Chiara Ferragni e Fedez, di sicurezza informatica, di pesce, di realtà virtuale, perché uno dei responsabili pare un’enciclopedia. Poi c’è la pausa sigaretta, anche se io non fumo, con il gruppo dei più giovani che continua a parlare.

Alle diciotto si resta in pochi, a volte si rimane da soli, ma uscire… è diverso. Ci si porta a casa tutte quelle piccole cose, quelle parole, e quelle pause pranzo che a volte sembrano puntate di Superquark. Si raccoglie la conoscenza sparsa tra le scrivanie, e tante piccole informazioni restano nella memoria, a costruire le fondamenta del nostro percorso futuro. Altre volte, semplicemente, si scherza. Si fanno battute, ci si prende un po’ in giro, e a un certo punto, durante il lavoro, quello stesso responsabile lancia in giro un aeroplanino, o scrive su un foglio di carta una battuta per far ridere durante una call. Diventa facile stare al gioco, staccare per qualche minuto, e rispondere con ironia. Come quando annunciò con fare serio che con la nuova opzione donna, se noi ragazze avessimo fatto centoundici figli, saremmo potute andare in pensione il giorno dopo. Cavolate, che hanno spesso un fondo di verità. E in qualche modo rendono la vita d’ufficio più leggera.

Si legge spesso dei benefici dello smart working, eppure nessuno sottolinea quante cose vengono a mancare. Sarà che non per tutti hanno lo stesso valore, e non tutti si ricavano il proprio spazio allo stesso modo. Sarà che sono giovane, alla mia prima esperienza, e ogni piccola cosa mi sembra meritevole di essere vissuta. Sarà che in casa ho ancora tanto aiuto, e so che non sarà per sempre, ma ho più bisogno di stimoli che di tempo libero da riempire. Sarà che forse sono fatta più per l’ufficio, o semplicemente è ciò di cui ho bisogno adesso, mentre con timidezza ed educazione muovo i primi passi in azienda. Trascorro le mie giornate in sede e quelle a casa, e trovo in questo equilibrio il mio stesso equilibrio, che in questi mesi alla fine sono riuscita ad indossare. E’ giusto che sia così, ed è giusto anche poter scegliere. So che è raro ed è una fortuna, e al di là delle preferenze, del valore delle piccole cose, e delle diverse pause caffé, io penso sempre che la scelta più giusta stia nel mezzo. Nel compromesso che mette d’accordo più persone possibili.

19 pensieri su “Il mio rapporto con lo smart working

  1. Per chi come me deve fare un’ora e più di macchina per arrivare al lavoro è una gran cosa. Poi certo, ha dei risvolti negativi. L’ideale è alternare, 2 giorni in SW + 3 in presenza forse è il giusto compromesso

  2. io sono favorevole allo smart working. sebbene viva in un alloggio piccolo sono risucito a creare un anolo in cui lavorare comodo.
    come scrivi nel tuo post, ognuno ha le proprie preferenze che sono da rispettare così come noi vogliamo che gli altri rispettino le nostre.
    e se hai trovato un tuo equilibrio sono contento per te

    • Beh sento pareri a volte anche opposti sullo smart working ed è normale, dipende da tantissimi fattori, carattere, situazione in casa, tipo di lavoro… Ognuno trova il proprio equilibrio 🙂

      • infatti. ne discuto spesso al lavoro con colleghi che preferiscono lavorare in ditta. ognuno la vede a proprio modo e siamo tutti sereni

      • Hai detto bene: un bravo lavoratore è in grado di trovare il proprio equilibrio in ogni situazione, anche quella per lui più spiacevole. Anche questa è professionalità.

  3. Concordo con Romolo, la cosa migliore è alternare e lasciare la libertà di andare o non andare in ufficio.
    Personalmente preferisco andare un paio di volte a settimana per tutto ciò che la tua sensibilità ha colto..quelle pause caffè che significano in realtà moltissimo.

  4. Alla mia prima esperienza di lavoro, mi sarebbe dispiaciuto tantissimo lavorare da casa… la redazione era tutto il mio mondo (mi sono rivista in tutti i dettagli di vita d’ufficio che hai raccontato così bene). Adesso è diverso, anche perché lavoro da sola anche in ufficio, quindi cambia poco.

    • Io che sono alla mia prima vera esperienza mi sono ormai abituata ad un 50 e 50 tra casa e ufficio, ma le giornate in ufficio le trovo sempre un po’ più stimolanti, anche quando c’è poco lavoro da fare

  5. Lo smart-working alla lunga è alienante, e pure controproducente.
    Nella mia azienda chi lo chiede (per necessità di ogni tipo) è comunque chiamato a frequentare il posto di lavoro almeno 2-3 giorni alla settimana, per “senso di appartenenza”, per dialogo inter-personale, per scambio di informazioni di gruppo.

    • Anche da noi è così, la politica prevede un 50 e 50 tra casa e ufficio, e penso sia il giusto compromesso. Altrimenti si perde il contatto umano, fatto anche di un banale “buongiorno” la mattina

  6. A me onestamente dell’ufficio non manca nulla. Sono in SW ma potrei andare in sede quando voglio, eppure resto a casa e il risparmio di tempo soprattutto mi permette di fare tante cose che prima gestivo col contagocce. Sono molto contento così, viene lasciata a noi la libertà di decidere dove lavorare.

  7. premesso ovviamente che la dad è differente dallo smart working, ma proprio col fatto di essere sempre a casa con i miei tempi ho raggiunto i migliori risultati della mia breve carriera universitaria!

    • Io avevo difficoltà anche con la dad, quindi penso in parte generi lo stesso sentimento 😅 c’è chi si adatta meglio e chi peggio, è umano, ne ho sentiti molti che con la dad hanno anche recuperato esami rimasti indietro, ma io fatico proprio a concentrarmi a lungo e a non sentire la mancanza di un ambiente popolato

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