Ed eccoci qui, un quarto di secolo. Sei la prima del nostro gruppo di amiche a compiere i venticinque anni, ed egoisticamente sono felice di dover aspettare ancora più di nove mesi, ma in fondo oggi non si parla di me. Venticinque anni, e noi ci conosciamo da dieci. Per la precisione, da settembre del 2012, quando abbiamo messo piede in classe cariche delle nostre paure, e durante un intervallo, mentre stavo in disparte tra i banchi vuoti, tu mi hai fatto cenno di avvicinarmi a te. Non ho dimenticato quel momento, e non tanto perché fossi grata di avermi salvata da un noioso quarto d’ora, ma perché tra tutti sei stata l’unica ad aver capito che senza quel cenno non mi sarei avvicinata mai. In questi dieci anni mi hai conosciuta più di chiunque altro, probabilmente anche più dei fratelli e delle sorelle che non ho mai avuto, e anche se può sembrare sciocco a ventiquattr’anni parlare così, io non avrei potuto chiedere un’amica migliore. E’ difficile riassumere in una pagina gli ultimi dieci anni, ci sarebbe così tanto da dire, così tanti ricordi, progetti, viaggi, momenti, traguardi, piccole discussioni, e comunque non basterebbe a delineare con uno schizzo l’intera storia. Sembrano lontanissimi quei sabati pomeriggio in centro, a vagare da un negozio all’altro per poi fermarci a fare merenda, parlando come se non ci fossimo viste in classe per tutta la settimana. Gli anni del liceo, quelli che a te sono mancati e magari mancano ancora, mentre per me restano un bellissimo ricordo, nascosto dietro l’ultima foto di gruppo che è ancora appesa alla parete. Siamo cresciute insieme, cinque anni a capire il valore dell’amicizia, e a cercarci con uno sguardo ridendo alle spalle del professore. La nostra quotidianità era fatta di questo, delle chiacchiere prima delle lezioni, dei caffè che prendevo soltanto io, delle partite a ping-pong durante l’ora di palestra, delle risate davanti a una lavagna piena di formule, e di una strana serietà che ci faceva impegnare per un buon voto, ma sempre con un sorriso stampato in faccia. Ho un altro ricordo speciale, di quegli anni. Il giorno in cui lessi davanti a tutti un mio tema, sulla poesia “A Silvia” di Leopardi. Quel giorno mi fecero quasi tutti i complimenti, ma con te fu diverso, perché ti vidi commossa, e per me, che non avevo mai letto una sola riga a nessuno, quello valse più di mille altre parole. Agli esami di maturità, sedute in quei lunghi corridoi, ci siamo cercate e suggerite, donandoci più coraggio che risposte corrette, e quando è arrivato il giorno del primo orale, tu sei arrivata a scuola per prima, anche se toccava a me. Abbiamo coronato il primo sogno, quello di diplomarci insieme con il massimo dei voti, e fuori da quella scuola ci siamo fatte una foto, a settembre, con il certificato di eccellenza che tu hai appeso ed io ho perso in qualche cassetto, tra gli appunti mai buttati via. Poi è arrivata l’università, con la tua paura di iniziare un corso da sola, e la mia incoerente voglia di conoscere persone nuove. Abbiamo vinto entrambe, e siamo cresciute ancora, restando amiche inseparabili pur senza vederci ogni mattina. Un nuovo equilibrio, nuove abitudini, nuove sfide, e mentre tu studiavi i bilanci io mi cimentavo con statistica, mentre tu ripetevi diritto commerciale io rileggevo gli appunti di econometria. Si potrebbe dire che in fondo ci siamo laureate assieme, nell’estate del 2020, tu con la tesi in mano ed io con tre fogli di un tema scritto in tre ore. Tu sei venuta a casa mia, con un po’ d’ansia e un mazzo di fiori, e dopo pochi giorni sono venuta a casa tua, con un computer di riserva e in cambio un secondo mazzo di fiori. Prove diverse, affrontate nel nostro modo unico di gestire le paranoie: tu hai chiuso tutti in cucina, anche se per qualche minuto ti abbiamo spiata dalla terrazza, mentre io ho voluto tutti con me, esatttamente di fronte, armati di cellulare per scattare fotografie. È stata una tappa di un percorso, e fino ad allora eravamo ignare che a un bivio ci saremmo ritrovate. Stesso corso di laurea magistrale, di nuovo noi come al liceo, compagne di banco indisciplinate, disturbatrici seriali, capaci di coniugare la serietà con il sorriso. Ho tanti ricordi limpidi di questi due anni, giornate qualunque e momenti speciali, le lezioni al freddo con le giacche addosso, i lavori di gruppo in videochiamata, gli sticker su WhatsApp mandati di nascosto, poi i ripassi insieme prima di ogni esame, perché pensavamo che portasse fortuna, gli appunti presi a metà, perché una battuta ci distraeva, le mattinate passate a ridere, perchè bastava uno sguardo a farci capire. So che se non ci fossi stata tu, sarebbe stato diverso. Perché mi conosci più di tutti, nonostante il muro di timidezza dietro cui mi nascondo, e non hai mai preteso di scavalcarlo, non mi hai mai chiesto di abbatterlo, come se un po’ avessi imparato a leggere tra le fessure, e lo trovassi giusto così. Certo, non siamo uguali, abbiamo le nostre diversità, i nostri spigoli del carattere, eppure le nostre discussioni si contano sulle dita di una mano, e fa un effetto così strano che in poco tempo ci stiamo già chiedendo scusa. Ci scriviamo ogni giorno, anche se non c’è un motivo particolare per farlo, anche se ci siamo viste da poche ore, anche se è solo per mandarci un video di un cane o di un coniglio su Instagram. E per qualunque cosa, che sia una piccola soddisfazione o la necessità di un consiglio, io senza pensarci mi rivolgo a te. Sappiamo ascoltarci, consigliarci, aiutarci, sostenerci, darci il coraggio che ci manca, anche quando nessuna ha una risposta pronta, anche quando ci uniscono dubbi e paure, anche quando in realtà abbiamo soltanto bisogno di sfogarci con qualcuno. Ma sappiamo anche scherzare, piangere dal ridere, vivere d’ironia, e buttarci alle spalle tutte le sfighe di questi anni, per cui neanche il corno napoletano ha potuto fare granché. La verità è che i bei momenti avranno sempre più valore. Come il giorno della nostra laurea, quella che abbiamo sognato tanto, quella per cui ci siamo incazzate, disperate, arrese, ma alla fine giorno dopo giorno l’abbiamo conquistata insieme. Non so se parlare di colpa o merito, perché è un esame andato male che ci ha fatte ritrovare in piazza a ottobre, con le nostre ansie e le amiche intorno, sotto una pioggia di coriandoli in una giornata di sole, cercando di portare a casa almeno una bella foto. Ma come potevamo aspettarci, la metà di quelle foto sono mosse, in pose strane, colte mentre stavamo ridendo per chissà cosa. Eppure sono perfette così. Ecco, vorrei tanto che tutto questo non cambiasse mai. Non parlo delle nostre giornate, di una quotidianità che per assurdo cambia ogni mattina, né di quelle occasioni per vedersi che magari saranno più rare, no, io vorrei che quest’amicizia, questo modo di viverla non cambiasse mai. Vorrei che fosse sempre così, immediato capirsi, semplice parlarsi, naturale sorprendersi, come quando lo scorso San Valentino ti sei spacciata per la postina con una multa, e mi hai portato a casa dei cioccolatini. Vorrei che restassimo così, quelle che si scrivono per ogni cagata, che nei negozi fanno cadere le grucce, che scoppiano a ridere davanti al cameriere, che in libreria potrebbero restarci delle ore, che si fermano per strada se vedono un bel cane, e che riempiono le agende di città da visitare insieme, ma quando le hanno viste ci vogliono già ritornare. Ricordo che quest’estate, di ritorno da Napoli, avevo scritto una cosa: “In tutta la settimana siamo state scambiate per sedicenni, per turiste inglesi, per due sorelle, per due fidanzate. La verità è che lei era l’amica giusta per questa vacanza, una persona che conosco ormai da dieci anni, che di me sa tutto, e con cui condivido tanti sogni e progetti. Non siamo uguali, ed è normale, ma siamo così compatibili che dopo sette giorni non eravamo ancora stanche di passare insieme ogni minuto. Per me vuol dire tanto, e forse questa vacanza è stata un po’ il nostro regalo, il nostro modo di dirci che in futuro ci saremo sempre, qualunque strada ci porterà a percorrere la vita“. Lo pensavo davvero, e lo penso tutt’ora. Quando l’ho scritto sapevo che in fondo lo avresti letto, perchè sei l’unica che ha sempre avuto accesso a quel mio cassetto di pensieri, e sapevo anche che probabilmente non mi avresti detto niente, perchè hai sempre portato rispetto ad ogni parola. Così quel giorno ho deciso di mandartelo io, un po’ per orgoglio, un po’ per timore che ti sfuggisse, e tu mi hai risposto dicendo che ciò che avevo scritto era vero. Non che fosse necessario dirselo o metterlo per iscritto, ma per me nulla è mai scontato, sentirmi a mio agio, parlare di me, e quella settimana insieme è stata semplicemente perfetta. Tutto questo sproloquio per dirti grazie per tutto, per la compagnia, le risate, i consigli, il supporto, le serate a parlare e le passeggiate in silenzio, perché in fondo quando si è amiche davvero, anche quel silenzio diventa una bolla nell’aria. Grazie, e ovviamente tantissimi auguri di buon compleanno.
Ps. Dai, che al prossimo magari ti arriva il massaggiatore per i piedi che volevi.