[Lo conservo da mesi, senza mai il coraggio di pubblicarlo. L’ho riletto decine di volte, lo conosco a memoria, e so che non è il modo migliore per affrontare le cose. È solo il più semplice, almeno per me. Ma non è poi così diverso dal prendere il cellulare e scriverti, perché il messaggio arriverà comunque a destinazione.]
So che leggerai queste righe. Lo so, perché ho fatto una cosa di cui mi vergogno, e non ho avuto il coraggio di parlarti a voce. Ho guardato di nascosto la tua cronologia. Era Capodanno, tu eri nell’altra stanza ed io un po’ brilla, e non ho resistito. Scusami. Non avrei dovuto farlo. Ma giuro che non ho spiato nient’altro, ho cercato soltanto il mio nome, quello pseudonimo che ho confessato soltanto a te. Non pensare che io non mi fidi. Non l’ho fatto per quello. Ma adesso ho capito tante cose. Ho capito quanto tu mi conosca a fondo, quanto ti bastino poche domande per leggermi dentro, e quanto io mi sia aperta, senza saperlo, con te. Non sono arrabbiata, anzi, un po’ lo immaginavo. Probabilmente lo avrei fatto anch’io.
Sai quando mi sono venuti dei dubbi? Quando ho scritto di una persona che potevi conoscere solo tu.
A te, che non sei altro che un posto in aula, quello sempre davanti al mio. Uno spazio vuoto, un sedile in legno, un corpo che non ho mai sfiorato.
Tratto da Non era così
Tu mi hai mandato un messaggio, quel giorno, per scoprire di chi stessi parlando, perché da un po’ non venivi a lezione con me. Ed io, ignara, te l’ho fatto capire. Mi è sembrato strano, perché volevi dettagli che non mi avevi mai chiesto.
Sei seduta al mio posto? Davanti e dietro chi c’è?
Quando sei tornata a lezione mi hai richiesto la stessa cosa. Dove mi siedo di solito, chi c’è nella fila davanti alla mia, chi ho esattamente di fronte… Solo ora mi rendo conto di quante cose tu sappia di me. Ed è strano, sai?, perché questo è sempre stato il mio rifugio da tutto, il mio angolo di paradiso, il cassetto in cui chiudere i pensieri più segreti. Sapere che forse non lo è mai stato davvero, un po’ mi destabilizza. Ma non è colpa tua, sono io che avrei potuto cercarti e non l’ho fatto.
Forse è per questo che non ti ho detto nulla per mesi. Sapevo che ogni cosa scritta, tu l’avresti letta, ma non saresti mai venuta da me a chiedermi spiegazioni. Era la scelta più facile, e probabilmente la più sbagliata. Ma non riesco più a fingere che sia tutto normale, non riesco a incrociare il tuo sguardo come prima, e in quei silenzi in cui potrei sistemare le cose mi faccio prendere dalla paura.
Vorrei chiederti cosa ne pensi, con sincerità e amicizia, ma riesco a farlo soltanto così. Un modo strano di confrontarsi, lo so, sarebbe più onesto bussare alla tua porta e parlarti, ma io sono quella che scrive, scrive migliaia di pagine, ma con le persone preferisce sempre ascoltare. Mi ci vedi, a dirti in faccia che so tutto? A spiegarti quello che ho scritto con altre parole? A ricordare le tue domande per indovinare quella persona? E a darti conferma che è esattamente la persona che pensi tu?
Ho sempre pensato che lo avresti saputo in un altro modo. Che io te lo avrei detto in un altro modo. Ma non ha senso restare qui, a spiarci l’un l’altra con imbarazzo, senza mai parlare di quello che proviamo. Sei l’amica più importante che ho, e so che mi capisci più di chiunque altro, perché abbiamo due caratteri simili, perché nascondiamo spesso le nostre emozioni, perché sognamo tanto e sognamo in grande, ma sempre con un piede per terra.
Ho sbagliato a entrare di nascosto nel tuo cellulare. Se leggerai queste frasi confuse, sappi che mi dispiace, davvero, e mi sono sentita in colpa il minuto dopo averlo fatto. Ma non voglio che cambi niente tra di noi. Ho bisogno delle tue domande, della tua presenza costante, di una persona che mi conosca quasi più di me. Scusami ancora.
Se vuoi, ne possiamo parlare…