Te lo devo chiedere, ma ho paura

Più le lancette si avvicinano allo zero, più non faccio altro che pensarci. Avrei altre mille cose da fare, doveri imminenti e impegni imperiosi, ma è come se tutto avesse meno importanza, come se l’unica preoccupazione fossi tu. Guardo il calendario, e ripenso a quel primo giorno, quando ti ho vista entrare e non ci siamo nemmeno salutate. Ripenso a tutti quegli altri giorni, vissuti in corsa con la speranza di poterti incontrare. Ripenso alle ultime settimane, e a quella paura che tu scelga di non tornare mai. Restano cumuli di parole buttate sul tavolo, ore spese a chiedermi se ci saremmo mai parlate, e quelle domande sciocche che vorrei farti, solo per iniziare una conversazione con te. Dovrei concentrarmi sul presente, ma i pensieri corrono al domani, a quell’estate che mette il mondo in pausa, e chiude le porte in silenzio, dietro una valigia chiusa sul treno. Vorrei poter cambiare il corso delle cose, costringerti a rimanere, o raggiungerti senza dover dare una spiegazione. Ma tutto quello che ho è una domanda senza risposta, e l’ansia di scoprire che ci staremo davvero dicendo addio. I fogli davanti a me diventano pagine bianche, il muro si svuota dei suoi quadri, le email che arrivano finiscono nella posta già letta, perché le apro e le richiudo dimenticandomi il contenuto. E’ sbagliato, lo so. Ma non riesco a togliermi quella paura di dosso, perché un po’ ci spero ancora, e mi aggrappo ai dettagli costruendo castelli, consapevole che un colpo di vento sia sufficiente a farlo crollare. Non mi sono mai sentita così. Vulnerabile, terrorizzata da un’assenza, legata a due mani a un’illusione. Tutto il resto è un mondo che sbiadisce, e che fa da sfondo alla mia promessa di aspettarti fino ai saluti, guardarti in faccia e chiederti che cosa si debba dire. Perché un arrivederci sarebbe bellissimo, ma rispetterei ogni scelta e ti augurerei una buona vita.

5 pensieri su “Te lo devo chiedere, ma ho paura

  1. …ci ritroviamo. Questa serata le stelle sembrano spingersi, ma il nostro pensiero è così forte da rompere ogni istante di paura. Ho riletto il Tuo pensiero… mi porta a leggere quel rapporto tra l’IO e il non IO, volendo considerare Fichte. Nel tuo brillare qualcosa si spegne, frutto di un desiderio che rimane oltre quella siepe del recanatese. Nel tuo pensiero affidi all’incertezza qualcosa che sfugge ma perché questo? ed ecco la paura che avvolge quel quadro che porta alla sofferenza, lasciando quel vuoto che non ci permette di emergere con veemenza quasi ad urlare il senso dell’esserci qui… Heidegger sarebbe una premessa. Saper leggere la sofferenza conduce verso un astrattismo, che cerca di mitigare sul divenire una necessità che si apre verso il mistero dell’esistenza. Ti chiedo, allora, se la sofferenza è il declino di un vuoto può avere un senso ? qui viene il bello nell’interrogarsi in maniera profonda tra Luce e Ombra senza dimenticare Jung,,, allora quale senso può avere una sofferenza senza colpa? vi sarà mai giustizia nel dolore? Tutto riporta ad una diminuzione del Sé. La tua attesa si cinge ancora di un vuoto…dunque perché non rendere la realtà coesa senza che il vento solidifichi l’assenza… chissà con viva considerazione Vincenzo F

    • Ecco un altro tuo commento davvero bello, mi trasporta leggerti, e mi sono voluta ritagliare il tempo giusto per rispondere. Il riferimento alla siepe rende davvero l’idea, anche se non esclude lo sguardo ma piuttosto lo intimorisce. Chiedi il senso di una sofferenza senza colpa, a me verrebbe da rispondere che un po’ fa parte della vita, anche se a volte siamo noi a imporcela e a cercarvi un senso, però come tutte le sofferenze passa, e al tempo stesso insegna tanto. Non so se il vento solidificherà l’assenza, ma proverò a impedirglielo 🙂

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