

È il mio modo di chiedere scusa. Il mio modo di farmi capire. Lasciare un messaggio tra le righe, sperando che quelle persone lo riescano a trovare.
Chi mi conosce lo sa che su Instagram pubblico poco, e che il più delle volte condivido solo foto di gruppo con gli amici. In vacanza, di foto, ne abbiamo fatte più di quattrocento. In posa per ore, o per il fugace istante di uno scatto rubato a una risata. Non rinnego quei momenti, sono ricordi, e passerei ore a riguardare i nostri sguardi felici.
Ma ogni volta che vi offrivate di fare una foto soltanto a me, io in silenzio mi tiravo indietro, e me ne stavo in disparte a guardarvi, pensando a quanto steste venendo bene. Ci avete provato, a farmi mettere in posa, ho scartato tutte le vostre foto, e non me lo avete più chiesto.
Avrei voluto spiegarvi, dirvi di più. Invece ho lasciato cadere le parole a terra, come se il problema non fossi io.
La verità è che l’obiettivo mi paralizza, come se potesse scavarmi dentro, e leggere quelle emozioni che cerco di proteggere, come se mi giudicasse con il suo sguardo severo, e in silenzio me lo volesse sbattere in faccia. Non importa chi ci sia dietro quell’obiettivo. Io mi vergogno lo stesso. Forse perché nelle foto non mi piaccio mai, trovo sempre un difetto, e preferisco dimenticarle. Forse perché sono timida, non so stare al centro dell’attenzione, e gli occhi puntati addosso mi fanno sentire a disagio. So che sembra assurdo, che in fondo siamo amiche, e non ha senso che io non riesca nemmeno a spiegarvi il problema. Ma giuro che ci provo, a godermi quei momenti, e non sapete quanto avrei voluto quella bella foto al tramonto, o sugli scogli con i colori dell’alba attorno.
Ma è come se mille persone fissassero me. Come se la fotocamera fosse un pubblico immaginario, ed io sul palco avessi scordato cosa dire. Mi sforzo di sorridere, mi sistemo i capelli, tiro dentro la pancia, e guardo altrove. Non riesco a divertirmi, a sentirmi a mio agio, e non basta il pensiero di guadagnarci una bella foto, perché nella mia testa la bella foto non verrà mai. Mi sento vulnerabile davanti all’obiettivo, come un libro aperto che chiunque può leggere, riscrivere, strappare. Anche se intorno a me ci siete soltanto voi, e so che non mi fareste mai del male. Ma i vostri shooting di due ore, per me sono stati un incubo. E non so se lo abbiate intuito, o se mi abbiate offerto di tornare a casa per cortesia. Ma mi sono sentita in colpa due volte.
Non è a causa vostra, sono io che proprio non ci riesco. In quella prigione d’inquadratura, con quel sorriso di plastica, e voi nascoste dietro gli schermi dei cellulari, a osservare me, ad analizzare me, a catturare immagini di me… io non lo posso sopportare. Non per più di un minuto, mentre lo sguardo cerca un rifugio per non farsi agguantare. Però qualche foto l’ho conservata. Frutto del sacrificio di alzarmi in piedi, e lasciarmi immortalare. Sono io per davvero, con l’ansia nella gola, e la testa voltata per non guardare, sono io in tutta la sincerità che vi ho potuto donare.
E quindi forse, oltre alle scuse, vi devo anche dire grazie, per tutto quello che avete fatto per me. Probabilmente non ve ne siete neanche rese conto, ma il vostro insistere, scattare a tradimento, mandarmi in posa davanti al mare, mi ha fatto capire che in fondo non c’è da aver paura. Ci siete voi, e basta. Voi, che sapete inquadrare meglio di me, farmi ridere e sentirmi a mio agio. Voi, che mi avete insegnato ad apprezzarmi in foto, e a non vedere i difetti che un tempo trovavo. Voi, che mi avete donato il coraggio di rendere pubbliche quelle foto.
Per voi ho scritto quelle poche righe, per chiedervi scusa e dirvi grazie, perché con voi sto imparando a capirmi, a raccontarmi, a volermi bene un po’ di più. Se non ve l’ho detto a voce è perché ancora faccio fatica, perché parlare di me rimane l’ostacolo più insormontabile, ma adesso che so che quelle righe le avete lette, mi piace pensare che il mio carattere, così enigmatico e schivo, da domani forse sarà un poco più chiaro.
Vi devo tanto, amiche.