Un Festival di Sanremo particolare

Pandemia. Zone rosse. Ristori. Governo. Poi arriva la settimana di Sanremo, e nessuno parla d’altro. Quest’anno più degli altri credo che il Festival sia stato per tanti di noi un rifugio, un momento di svago, un ricordo neanche troppo limpido del mondo che abbiamo lasciato. “L’ultimo ricordo felice del 2020”, lo ha definito Fiorello. In mezzo, la pandemia. I mesi di zona rossa, gli ospedali pieni, le troppe vittime, la speranza cantata sui balconi, i concerti in streaming, e qualche evento estivo. Da quanto tempo mancava la musica dal vivo. Certo, non sono mancate le polemiche, Festival sì, Festival no, pubblico sì, pubblico no, e qualche protocollo violato, perchè la distanza non si riesce sempre a mantenere. Ma è inutile questionare, la vita è già piena di problemi, e questa settimana di leggerezza ha per un attimo distolto i pensieri dalle cose brutte. È sbagliato? Qualcuno dirà di sì, qualcuno dirà di no. Ma su quel palco non si è mancato di ricordare che là fuori tanta gente sta soffrendo, e che quel Festival era un privilegio. Lo ha detto Alessia Bonari, l’infermiera simbolo della lotta la Covid negli ospedali, che ci ha fatto capire quanto la situazione non sia cambiata, quanto la strada sia ancora lunga, e i sacrifici da fare ancora tanti.

Ma il Festival, alla fine di tutto, è stata un’occasione per tanti lavoratori dello spettacolo: quella di tornare sul palco a fare il proprio mestiere. Musicisti, direttori d’orchestra, attrezzisti, fonici, costumisti, truccatori, e chissà quanti altri ho dimenticato. Certo, non sono tutti, magari si potessero aiutare tutti. Ma io credo che anche una sola persona più felice possa fare la differenza.

Ma che Sanremo è stato? Beh, quello del ricordo, con l’apertura di Diodato dopo un anno che ci è sembrato un secolo.

Il Festival delle poltrone vuote, dei cantanti che ancora gridavano “tutti insieme!”, della platea piena di palloncini durante la seconda serata, e di quello a forma di pene scoperto sui social network.

È stato il Sanremo dei fiori portati con i guanti, dell’orchestra con le mascherine nere, delle buste che non si possono toccare. È stato il Festival delle canzoni dimenticabili, ma che abbiamo ascoltato lo stesso. È stato il Festival della rivoluzione dei fiori, che Francesca Michielin ha ceduto a Fedez e Victoria De Angelis a Manuel Agnelli. È stato il Festival degli sketch tra Fiorello e Amadeus, soprannominati da se stessi Amorino e Patato.

È stato il Festival di Ibrahimovic amato od odiato, nel personaggio del campione borioso che vuole solo due squadre da 11 cantanti in gara. È stato il Festival di Achille Lauro, con i suoi quadri sopra le righe.

È stato il Festival di Arisa, che la prima sera si è presentata con un tubo nei capelli scatenando l’ironia.

È stato il Festival di Orietta Berti, inseguita dalla polizia dopo il coprifuoco mentre andava a ritirare i vestiti.

È stato il Festival di Aiello, che ha urlato alla telecamera “SESSO E IBUPROFENE” senza preavviso

È stato il Festival di Max Gazzè, che è sempre sceso dalle scale con un travestimento diverso.

È stato il Festival dei Maneskin, che hanno portato il rock sul palco dell’Ariston, e che Orietta Berti ha per sbaglio chiamato Naziskin.

È stato il Festival di Irama, in quarantena in albergo, che ha partecipato con le registrazioni delle prove.

È stato il Festival di Francesco Renga, e dell’orchestra che ha tragicamente bocciato la sua canzone.

È stato il Festival di Bugo, tornato dopo la squalifica dell’anno scorso, quando Morgan cambiò il testo della canzone per insultarlo. Nel mentre Morgan non ha perso tempo, e nei minuti in cui Bugo ha cantato lui ha pubblicato la versione integrale di quella canzone: le brutte intenzioni la maleducazione…

È stato anche il Festival degli ospiti, come le sempreverdi Loredana Bertè e Ornella Vanoni.

O come Laura Pausini, che da vincitrice di un Golden Globe si è messa a cantare “Rhytm of the night” con Fiorello beatboxer e Amadeus ballerino.

È stato un Festival di spensieratezza, un Festival che ci ha fatto dimenticare tutto il resto per un paio di sere sere, un Festival che ricorderemo forse con tristezza, perchè il momento storico che stiamo vivendo non è facile, un Festival che resterà il simbolo di una pandemia drammatica, con le sue poltrone vuote e i fiori nel carrello. Non si possono fare confronti, questo Festival non ha precedenti. Qualcuno lo ha voluto col cuore, ha lavorato perché si realizzasse, perché portasse la musica dal vivo nelle nostre case, perché desse un po’ di soldi a chi non lavorava da un anno, e così è stato. Il Festival è stato fatto. Abbiamo riso, ci siamo emozionati, abbiamo fatto il tifo, abbiamo commentato gli abiti peggio di Enzo Miccio.

Ci siamo chiesti come sarebbe stato annullare Sanremo. Non avere motivo per stare svegli fino a tardi aspettando gli ultimi cantanti in gara. Non sentire in radio le stesse canzoni per un mese di fila. E non scoprire artisti sconosciuti che a volte sono una sorpresa. Ma il Festival è stato fatto, il vincitore è stato annunciato, e mai come quest’anno la vittoria dei Maneskin è un po’ un simbolo del tempo che stiamo vivendo.

La gente purtroppo parla.

Lo hanno cantato all’Italia intera.

2 pensieri su “Un Festival di Sanremo particolare

  1. A me ha fatto morire dal ridere una persona in un gruppo facebook che ha postato una foto del duetto tra i Maneskin e Agnelli dicendo “Quando sei in quell’età in cui apprezzi sia il padre (Agnelli) che il figlio (Damiano)”. In effetti xD 🙈

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