21

Era il 21 febbraio 2020 quando l’incubo ebbe inizio. Il primo caso in Italia, a Codogno, ma anche il primo in Europa. Un anno che ha cambiato le nostre vite, che ci ha tolto speranza, occasioni, famiglia e amici lontani. Un anno che nessuno ci ridarà mai. Un anno in cui tanti medici hanno combattuto in trincea, e molti di loro hanno perso la vita. Un anno passato in attesa di quel vaccino, sognando che facesse un miracolo, perché avevamo bisogno di aggrapparci a qualcosa. Un anno che scade oggi, e un giorno che verrà studiato sui libri di storia. Noi ci siamo dentro, come naufraghi nell’oceano che credevamo di conoscere. Siamo solo più stanchi, disillusi, arrabbiati, e con chi?, non possiamo prendercela con nessuno.

Eppure è un anno che abbiamo vissuto. Quel giorno era un venerdì. Il 22 febbraio 2020, me lo ricordo, ho visitato con due amiche dell’università la Rocchetta Mattei. È stata la nostra prima gita insieme, a un’oretta di macchina da Bologna. Il 23 febbraio sono andata al Carnevale di San Pietro in Casale, ancora ignara di tutto, illusa che il problema sarebbe durato pochi mesi. Quel 23 febbraio ho ricevuto l’email che annunciava la chiusura delle università. La conservo ancora, come ricordo di quel giorno che ha davvero stravolto tutto. Assurdo pensare che tutto questo sia accaduto un anno fa. Se chiudo gli occhi e ripenso a quelle prime settimane mi sembra quasi di vedere un film, una ricostruzione fedele di un anno di sacrifici, presa di coscienza e dolore.

In questo anno ci siamo chiesti tante volte come ne saremmo usciti, cosa avremmo imparato, cosa non sarebbe mai più tornato. Non abbiamo tutte le risposte, anzi, forse non ne abbiamo nemmeno una. Ma dopo un anno siamo sempre qui a farci il sangue amaro, ad arrabbiarci con chi non rispetta le regole, a criticare il governo che non fa mai abbastanza, a guardare altrove sperando di trovare una luce. Dopo un anno siamo sempre noi, ma più ricchi di prima. Com’è possibile, vi chiedete? Beh, dietro quella rabbia si nasconde ancora il suono degli applausi alla finestra, e nei nostri occhi sono ancora limpidi i cartelloni con su scritto “Andrà tutto bene”.

Ci crediamo ancora? Dopo un anno non è facile. Siamo stati troppo ottimisti, ma è inutile recriminare. Ricordo mio padre che a cena raccontava le immagini di Wuhan. Era gennaio, forse inizio febbraio, ed io non ci credevo. Gli dicevo che stava esagerando, che era tutta una montatura, che era fatto per spaventare il mondo. Se ci ripenso mi sembra di vedere un’altra me. Quella che non vedeva l’ora di uscire, che aveva imparato a divertirsi in discoteca, che la sera tornava tardi e camminava in punta di piedi. Ma non è questo che mi manca, perché non sono queste le cose importanti nella vita. Ecco, se c’è una lezione che questo anno infausto ci ha lasciato, è l’aver capito che più di tutto contano le persone.

21 febbraio 2021. Non ci si può spostare, e il Carnevale non si può celebrare. Ma in compenso abbiamo imparato come ci si deve comportare. Non sono state fatte le scelte migliori, è vero, e forse tante altre non ce le possiamo permettere. Vediamo sempre qualcosa che non funziona, e non notiamo, invece, quello che di buono c’è stato. Non è un anno da buttare via. Non è stato privo di esperienze, di crescita, di vita vissuta, seppur in un modo che non credevamo possibile. E anche se tante volte abbiamo dato il peggio di noi, anche se abbiamo gridato contro chi non lo meritava, anche se abbiamo ceduto allo sconforto troppo spesso, abbiamo sempre l’occasione di rimediare. È forse l’unica occasione che non se n’è mai andata. La possibilità di chiedere scusa, di dire grazie, di abbracciare a distanza con uno sguardo. Possiamo farlo. Abbiamo sempre potuto farlo, ogni singolo giorno di questo anno.

Non rimandate più. Lo avete visto, quanto è fragile la vita. Ma i legami sono più forti, e non chiedono gesti eroici per essere salvati. Chiedono solo di esserci. A modo nostro. Nei limiti del possibile. Esserci con una parola, una telefonata, un saluto a distanza, un sorriso nascosto, uno sguardo amico.

A un anno di distanza da quel 21 febbraio 2020, io mi sento grata per le persone che ho accanto, tutte in salute e con un lavoro, e so che questa è oggi una grande fortuna. Dobbiamo essere coscienti di questo. La vita non aspetta che finiamo di lamentarci, di battere il pugno contro i muri di casa, la vita scorre qualunque cosa succeda, e questo anno, che ci sembra vissuto a metà, sprecato come un cibo lasciato nel piatto, sarà un anno che ricorderemo per sempre. Lo ricorderemo per il dolore che ha portato, ma anche per la gioia dopo l’annuncio del primo vaccino, per il successo storico del Recovery Fund, per i momenti di unità a volte dimentimenticati, per gli applausi alla finestra e i sorrisi dei bambini.

21 febbraio. È il momento di fare pace.

10 pensieri su “21

  1. Io prima della chiusura ero andata con un’amica al Carnevale di Viareggio. Prima volta nella mia vita. Esperienza bellissima. L’università e chiusa il 5 marzo e Firenze mi manca tantissimo. Spero di poterci tornare ma non lo so. Sembra un miraggio anche se è solo a due ore di treno da casa mia

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