Vaneggiamenti durante una pausa dallo studio

Prima era l’estate, poi il 2021, ormai sembra essere il 2022. Abbiamo bisogno di un obiettivo, anche senza sapere se lo raggiungeremo davvero. Abbiamo bisogno di crederci, perché la vita deve avere un senso, e quello che facciamo non può svanire ogni sera, nella convinzione che tanto sarà tutto inutile. Chissà come sarà il mondo domani, tra un mese, tra un paio d’anni. Chissà dove saremo, chi avremo al nostro fianco, se staremo ancora aspettando quell’abbraccio. Abbiamo imparato a non farci illusioni, e forse anche ad essere più pessimisti della scienza. A vaccino approvato sono arrivate le varianti, poi la crisi di governo, poi i ritardi nelle consegne, poi i lockdown. E’ finita la paura, la rabbia, perfino la speranza, come se ormai non dipendesse nemmeno più da noi. Finirà, per forza. E fino ad allora resteremo seduto in cerchio, a guardarci combattere con le braccia incrociate, correndo dietro agli eventi senza raggiungerli mai. Pensavamo che una pandemia non sarebbe mai più arrivata. Pensavamo di essere invincibili. Pensavamo che i vaccini ci avrebbero salvati dall’oggi al domani. Ma finite le lacrime e i pugni contro il muro, non ci resta altro che il tempo. Quello che non finisce mai. Quello che prima o poi smetterà di appartenerci, perché lo avremo lasciato silenziosamente ai nostri figli. Quello che oggi appare vuoto, una lotta contro i mulini a vento, armati di coltelli che potrebbero avere la punta arrotondata. A un mese dall’inizio del nuovo anno,  io punto già tutto sul prossimo. Non mi domando se per allora avremo vinto, o se staremo per cominciare la stessa guerra da capo. Lo so che finirà sempre troppo tardi. Forse ci stancheremo prima, o saremo così poveri da non poter più offrire da lavorare. Forse scapperemo tutti là dove il virus non ha colpito, magari in Alaska, o tra i ghiacci della Groenlandia. Oppure saremo tutti qui, a comprare i biglietti dei concerti tanto attesi, e ad accompagnare i bambini a scuola senza più mascherine. Chi può dirlo. In fondo anche gli statistici calcolano sempre una media. Fanno le ipotesi più catastrofiche e le bilanciano con quelle più ottimiste. Ho scoperto che lo scenario peggiore non salverebbe nemmeno il 2022. Ma come faccio, ormai ho puntato tutto su di lui. Nel frattempo continuo a immaginarmi in quel mondo idilliaco che ho lasciato, quell’Eden degli anni moderni fatto di abbracci e sorrisi. Mi immagino altrove, a costruire la vita come se dovesse iniziare allora, come se un colpo di pistola al cielo ci autorizzasse a voltare pagina. E quanto ne abbiamo bisogno… In fondo è un po’ come leggere un romanzo che non ci piace, sapendo di doverlo finire, ma con la prospettiva di cominciarne uno nuovo e bellissimo. Quindi andiamo avanti, riga dopo riga, stanchi della storia e spaventati da tutti quei capitoli. Ci ripetiamo che andrà meglio, o se così non dovesse essere, ci rifaremo con un altro libro. In fondo anche nei romanzi anche i cattivi muoiono solo alla fine. E noi siamo i protagonisti, prigionieri al culmine della tragedia, mentre allo stremo delle forze sentiamo un rumore di chiavi. Ecco, così sembra quasi poetico. Ma forse è perché sto leggendo “Le mille e una notte”, e in realtà il mondo fa schifo in un modo assolutamente tetro. E qui si ritorna ad un 2021 che non pasa mai, tant’è che siamo ancora a gennaio, ma il 2020 l’abbiamo mandato a ‘fanculo tanto tempo fa. Certo, per adesso è la mia fortuna, ho due esami da preparare e una scarsissima concentrazione (come si può notare). Ma è il mio obiettivo a breve termine: studiare per arrivare in grande stile al 2022, su cui continuo a puntare tutto. Perché nella vita bisogna essere un po’ ambiziosi.

Così, si fa per parlare. Da quando hanno chiuso i bar non lo si può più fare nemmeno davanti al caffé…

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