Un regalo a mio nonno

Se c’è una cosa che questa pandemia ci ha insegnato è quanto sia prezioso il tempo. È come se ce ne avessero dato troppo e fossimo impreparati a gestirlo, perché vorremmo fare tutto quello che è proibito, e non pensiamo che in fondo anche un’ora con le persone care possa fare la differenza.

Oggi, giorno di Santo Stefano, sono andata a trovare mio nonno. Non lo vedevo da tanto, ma è stato lui a chiedermi di pranzare insieme, in famiglia, come abbiamo sempre fatto, e non potevo dirgli di no. Tornati a casa mio padre ha detto: è stato uno degli incontri più belli tra nostra figlia e il nonno. Non so come sia sembrato da fuori, ma io sono uscita felice. Felice e senza sensi di colpa per aver sprecato un’occasione. Siamo rimasti fino a metà pomeriggio a parlare, io, mio padre e mio nonno, seduti a tavola senza guardare l’orologio, a passare da un argomento all’altro, dalla politica alla religione, dal Covid agli Sessanta, dai film alle aziende italiane. Io ascolto tanto, e mio nonno lo sa, lo ha sempre saputo, così questa volta è stato lui a farmi delle domande, o a cercare il mio sguardo per comunicare con me. Alle tre del pomeriggio mia madre e mia zia sono intervenute: papà, vuoi andare sulla poltrona?. Si preoccupano, è logico, sono le sue figlie. Ma lui ha risposto deciso: Se non vi dispiace io starei qui a chiacchierare. E cosa gli vuoi dire?

86 anni e una forza che a volte manca perfino a me. Ha scritto a tutti un augurio diverso sui biglietti, e nel mio ha scritto “Natale, che porti via le paure“. Come se sapesse quante paure ho io a ventun’anni, paura di crescere, paura di correre verso i miei obiettivi, paura di perdermi in un mondo troppo grande. Forse per la prima volta ho capito che lui mi conosce davvero. Anche senza vederci tutti i giorni, anche in quei momenti di silenzio che io non so riempire. Probabilmente siamo simili in questo, osserviamo il mondo in silenzio, e tutto quello che nessuno riesce a dire a parole.

Però una cosa bella me l’ha detta, una cosa per tanti banale, ma che per me significa moltissimo. “Io quando penso a voi, voi giovani, quelli bravi, mi viene da chiedermi: perché non andate all’estero? Cosa ci fate qui, cosa c’è per voi qui? Lasciare la famiglia è difficile, però voi potete farlo, voi che potete dimostrare quanto valete“. I miei genitori sanno che vorrei partire con il progetto Erasmus, e non ho dovuto chiedere il permesso o comunicarlo ufficialmente. È un mio desiderio, e anche se per loro non è facile so che sono sempre pronti a sostenermi. Ma mio nonno, che non mi vede mai, che ha vissuto un mondo diverso, che non conosce bene l’università, proprio lui ha capito il mio desiderio senza nemmeno chiederlo, e sentirlo parlare così mi ha riempito il cuore. Sarà sciocco, ma sapere che lui in fondo mi capisce, per me vale tantissimo.

Ci siamo lasciati con una promessa: “ormai, diciamocelo, una bella fetta di vita l’ho vissuta, però ecco, io vorrei esserci ancora per la tua laurea“. Certo, nonno, ci sarai.

86 anni e un animo che ho sempre ammirato. È cosciente di tutto, presente al mondo e a se stesso più di tanti giovani, fiero di quello che ha avuto, grato per quello che ha adesso. Non è perfetto, non è sempre allegro, in una casa rimasta vuota troppo presto, ma nessuno può biasimarlo per questo. E poi quello che conta, a Natale, è stare insieme. E se per lui è stato importante almeno quanto lo è stato per me, allora torno a casa felice.

Il tempo è prezioso, ricordatelo sempre. E per i nonni, che vedono il tempo scorrere più veloce, un giorno trascorso con la propria famiglia può essere davvero un regalo bellissimo.

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