Immaginate cinque ragazzi giovanissimi di Milano, che nel 2013 fondano una band e la chiamano Seveso Casino Palace, un nome a caso nato dopo l’esondazione del fiume Seveso. Gianluca alla chitarra, Salvatore al basso, Alessandro alla batteria, Fabiana alla tastiera, Silvia voce e frontman del gruppo. Una formazione standard, e vi starete chiedendo: quindi? Questi cinque ragazzi sono perfettamente integrati l’uno con l’altro, hanno un’identità artistica definita, che non è cosa da poco per la loro età, hanno le idee chiare sul proprio futuro e su quello che vogliono fare. Hanno fatto e stanno facendo la loro gavetta, crescendo pian piano e imparando, sperimentando, delineando un proprio stile sempre più definito. Quando è nato questo progetto Silvia era ancora alle superiori, e la loro prima esperienza è stata al Liceo Artistico Boccioni, nella propria città. Un po’ come nei film degli artisti che ce l’hanno fatta, sono partiti da dove sono nati e cresciuti, con un pubblico di amici e compagni di scuola, inesperti su come tenere un concerto o come scrivere un brano inedito. Ma il 2015 cambia le cose, e li traghetta in una realtà più grande e più importante di quella a cui si erano abituati. Partecipano a Emergenza Festival, arrivano fino alla finale, suonano all’Alcatraz di Milano e si classificano terzi. Nello stesso anno li troviamo anche all’Expo, al padiglione Huiywan, con un’esibizione in versione acustica davanti al grande pubblico. Sono esperienze che fanno crescere tanto, è un salto nel vuoto, perché sotto quei palchi non ci sono più soltanto amici e parenti ma volti che i Seveso casino palace non sanno neanche chi siano. Fa parte della classica e tanto agognata gavetta, che la Warner aveva riconosciuto in loro, ma mancava allora un altro passo importante: gli inediti. “In four and for hate” esce il primo ottobre del 2016, seguito da “Arena’s gate”, “Old digger” e “K.C.”. Tutti in inglese, con un sound abbastanza vicino all’Hair Rock degli anni Ottanta, ma duro, impattante, quasi d’effetto. La voce graffiata di Silvia si mescola perfettamente con gli strumenti, riesce a dare quel tocco caratteristico in più, quello che se lo senti potresti scommettere di averlo riconosciuto. Eppure, fino a quel momento, erano ancora una band di Milano in lotta per farsi conoscere. L’occasione si presenta ancora una volta nel talent show di X factor, giunto alla dodicesima edizione. Suscitano clamore quando portano sul palco una cover di un brano trap, totalmente stravolto, in chiave quasi metal, perché un testo che per molti non aveva alcun significato sembra improvvisamente prendere forma, avere un suo senso, una sua dignità. Sul grande palco dei live non brillano, complice il contesto televisivo e il meccanismo di gara, ma quello che riescono ad ottenere è il giusto grado di attenzione mediatica che permette loro di uscire a testa alta, organizzare piccoli tour nei club di paese, farsi conoscere sui social. Non sono artisti che hanno fretta di emergere, anzi. Sono ragazzi intelligenti, musicisti efficaci, sanno che l’onda d’urto di un talent show va gestita con calma, con la testa sulle spalle, e loro ci riescono perfettamente. E’ vero, non sono una band di rilievo del panorama italiano. Ma lavorano sodo, studiano, non hanno paura di osare e nemmeno di fermarsi a riflettere, scrivono e arrangiano i propri brani, e lo fanno con cura, con pazienza. Ci hanno messo un anno per far uscire il singolo dopo l’esperienza di X factor. “Finta di niente”, il primo in italiano. Forse potrebbe addirittura spiazzare, perché sembravano proiettati ad un percorso da rockband inglese. Ma lo stile non è cambiato, hanno solo dimostrato di saper sorprendere, spaziando tra i generi, e azzardando un rock che oggigiorno difficilmente si ha il coraggio di approcciare.
Piccola chiosa finale, condivido un estratto di un’intervista fatta alla band dopo la loro uscita dal talent. Affermazioni che condivido molto, e che dimostrano una maturità artistica rara tra i giovani.
Con l’avvento del digitale è chiaramente cambiato il modo di fruire la musica, a cominciare dallo streaming. Potendo ascoltare tutta la musica con una piccola quota mensile si ha la possibilità di espandere i propri orizzonti musicali comodamente da casa, ma poter ascoltare tutto spesso può voler dire non ascoltare nulla, o quanto meno non farlo con attenzione.
Un altro aspetto da evidenziare, nell’industria musicale, è che l’avvento del digitale ha accelerato i ritmi di produzione e di pubblicazione della musica. Questo, da un lato può essere stressante per l’artista, che si vede costretto a creare nuovo materiale in continuazione, dall’altro porta di nuovo a un ascolto superficiale, in quanto l’ascoltatore è bombardato continuamente di nuova musica.
Senza contare che ormai, con lo streaming, ogni pubblicazione è un disco d’oro.
Un’altra riflessione interessante è che, con l’atto dell’abbonarsi a una piattaforma come Spotify, l’utente non è più posto di fronte a una scelta ma sceglie tutta la musica, non essendo di fatto più costretto a compiere una scelta come quella di comprare una copia fisica di un CD.
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Notevoli…
Anche per me 🙂
Mannaggia a te Penny… “Finta di niente” non mi esce più dalla testa, bella… li seguirò sui social con piacere. Grazie! 😀
Grazie a te per l’ascolto! Anch’io l’ho avuta in testa per un po’ 😄
Bella
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