Liebster award 2020

Non ne vedevo più da tempo, pensavo i Liebster Award fossero in crisi, e invece Gaialor95 mi ha invitata a partecipare, e mi sembra di essere tornata alle origini. Ci sarà bisogno di ripetere le regole? Certo che sì.

  • Ringraziare il blogger che ti ha nominato, fornendo anche il link al suo blog
  • Rispondere alle 11 domande ricevute
  • Nominare altri 5-11 blogger
  • Chiedere 11 domande ai blogger nominati
  • Avvisare i blogger che sono stati nominati

Niente di trascendentale. Ma ora passiamo alle domande.

1. Che aspettative hai per il tuo blog? Quali sono i tuoi obiettivi a riguardo?

Ho aperto il blog sei anni fa senza nessuna aspettativa, e in realtà continuo a non averne. Come si dice? Lo vivo alla giornata. Per essere quasi una veterana non sono poi diventata così famosa, ma ho i miei affezionati, i miei lettori e commentatori assidui, e sono contenta così. Scrivo soprattutto per me, per mettere insieme i miei pensieri, per avere un luogo tutto mio in cui riflettere. Qualcuno, un giorno, mi ha fatto notare che fossi discretamente brava con carta e penna, e così tutti quei foglietti sparsi in camera sono diventati testi digitali. Ma non è cambiato niente. Il mio obiettivo è solo quello di continuare, anche quando avrò sempre meno tempo libero, meno pensieri da sistemare, perché ci tengo, e non come ad un lavoro o un progetto di vita, no, come ad una passione più forte delle altre.

Che interessi hai oltre al blog? Svolgi qualche attività di volontariato o pratichi sport?

Sembrerà assurdo, ma il blog è uno dei pochi interessi che ho mantenuto negli anni. Molti altri sono svaniti, e non so spiegarmi esattamente il perché. Forse non facevano per me, forse sono cresciuta io. Suonavo la chitarra, ho preso lezioni, e poi ho cominciato ad arrangiarmi. Poi sono passati i mesi, ho iniziato l’università, e mi sono ritrovata in una vita diversa, piena di impegni nuovi, di priorità che giudicavo sempre più importanti, e ho smesso di suonare. La chitarra è ancora lì, in camera mia, e mio padre ogni tanto me lo chiede, “Non suoni più?”, e mi sento in colpa, perché lui ci teneva forse più di me. In compenso mi sono interessata alla musica in tutt’altro modo: i dischi in vinile. Da quando ho ereditato la collezione di mio padre, ho riscoperto il piacere di ascoltare la musica, di ascoltarla davvero. E non solo ascoltarla, ma capirla, leggere i testi, informarmi sugli artisti, e forse è davvero questa la strada che fa per me, nascosta nell’ombra dei grandi cantanti e musicisti, a godere della loro arte. Lo sport? Non fa per me. Sono essenzialmente una persona pigra. Ho praticato nuoto per anni, poi ho smesso. Ho imparato le basi del tennis, ma mi sono fermata a quelle. A ventun’anni le persone che conosco vanno quasi tutte in palestra. Io ne ho la repulsione, e preferisco farmi una passeggiata al giorno, da sola, anche in salita, purché sia all’aria aperta e lontano dal traffico. Però devo ammetterlo, un po’ mi manca nuotare. Se abitassi davanti al mare, baratterei volentieri la passeggiata con una nuotata al largo, sotto il sole, immersa nel silenzio dell’oceano.

Che ne pensi della maggiore rappresentatività delle minoranze nei prodotti di intrattenimento? Pensi sia la strada giusta o ancora si tende alla stereotipatizzazione?

Io credo dipenda dal prodotto, dall’apertura mentale di chi lo produce, di chi ci lavora, e sì, anche di chi si impegna a indossarne i panni di persona. Siamo ancora lontani da un mondo privo di stereotipi, questo sì. Ma è il riflesso di un percorso che si deve ancora concludere, e che non ci ha ancora portati a conoscere del tutto le minoranze, a comprenderle, a poterle rappresentare senza cadere nelle approssimazioni. Non si deve partire dal prodotto confezionato, ma da tutto quello che viene prima. Dalle esperienze, dal toccare con mano la realtà che si intende fotografare, e forse manca ancora un po’ di coraggio in questo.

Pensi che Netflix e altre piattaforme similari abbiano modificato la nostra concezione della fruizione di serie tv?

Domanda difficile da esaurire in poche righe, io la estenderei a una considerazione più generale. Penso che Netflix e i suoi diretti concorrenti stiano cambiando il concetto di televisione in maniera radicale. Non c’è più l’attesa infinita per vedere un tal film, i minuti di pubblicità, le interruzioni a metà, gli orari da rispettare. Con Netflix hai tutto e subito. FIlm, serie tv, documentari, un catalogo che nemmeno il caro vecchio Blockbuster possedeva. I giovani sono passati dallo streaming illegale alle piattaforme a pagamento, dagli episodi sottotitolati e diffusi online, alle stagioni rese disponibili in perfetto orario a chilometro zero. A discapito dei film, forse. Perché ai personaggi delle serie tv ti ci affezioni, nelle serie tv ti immedesimi, e se non sopporti i finali aperti puoi dedicarti al binge watching, vedere anche dieci episodi di fila senza dover aspettare una settimana, e senza muoverti dalla tua stanza. Sì, è cambiata la nostra concezione, sono cambiate le nostre abitudini, e probabilmente anche i nostri gusti. Le serie americane hanno surclassato quelle italiane, e più una serie ha successo, più persone la guardano, spesso anche per moda, e più stagioni vengono prodotte, a costo di rovinare un bel prodotto per mancanza di idee. Come un’industria di auto. SI guarda alla domanda di mercato, e si cerca di soddisfare quella. I film, poi, vengono serviti a profusione, come se fossero un piatto di patatine, a centinaia buttati lì senza un ordine, e a te spetta soltanto il compito di scegliere. Tante volte si sceglie a caso, perché non si conoscono i titoli, ma si ha voglia di guardare qualcosa. E questo è spersonalizzante. Come se in realtà fosse la televisione stessa a scegliere per noi. Non dico che sia sempre un fattore negativo, anzi, mi è capitato di scoprire film bellissimi per una pura coincidenza. Ma manca qualcosa. L’attesa che il film esca al cinema per organizzare una serata con gli amici, e guardarlo dalle poltrone con i popcorn in mano. Questo, con le serie tv, non lo puoi fare. C’è da dire che sono cresciuta con le serie tv senza nemmeno accorgermene, quelle di Disney Channel, e da quando ho scoperto che anche quelle sono state spostate in una piattaforma di streaming a pagamento, ho capito che il cambiamento è ormai irreversibile.

Quali sono gli artisti (cantanti, attori, scrittori… scegli pure tu) a tuo parere sottovalutati?

Se dovessi fare dei nomi finirei tra una settimana. Ma definiamo questo termine: sottovalutati. Nel senso più generale, sottovalutati dalla maggioranza, dalla massa. Succede a un numero spropositato di artisti, nomi e volti che non conosciamo, e che in realtà vivono della propria arte rimanendo nell’ombra, perché non hanno rinunciato a fare quello che amano. Potrei fare tanti esempi di cantanti che ho scoperto per caso, a volte persino più bravi di tanti idoli della musica odierna, e lo stesso vale per gli attori, per gli scrittori, per i ballerini, per i musicisti… Ma il mondo è fatto così. Esiste una minuscola fetta di privilegiati che ce l’hanno fatta, e che troviamo sui cartelloni pubblicitari in grande stile, e poi esiste un secondo universo, il vero mondo dello spettacolo, fatto di tanti professionisti che lavorano, vivono discretamente, e che non saranno mai le star di Hollywood o gli invitati alla notte degli Oscar, ma sono felici. Ecco, io credo che quel termine, “sottovalutati”, sia soprattutto un nostro problema. Noi che li vediamo come artisti realizzati a metà. Magari qualcuno si sente davvero così, e non sono nessuno per negarlo o minimizzare la cosa, ma a volte non contano soltanto i numeri, a volte conta essere apprezzati davvero, e può avvenire in uno stadio come in un piccolo club, in un grande teatro come in una sala di quartiere, sulla Walk of fame come in un vicolo del proprio paesino. La differenza la fa una sola cosa: essere riusciti a costruire qualcosa che per noi vale. Per qualcuno saremo sottovalutati, ma nulla toglie la possibilità che un giorno il grande pubblico, la maggioranza, la massa, ci possa notare. E sarà lì che ci si dovrà impegnare a difendere veramente la propria arte.

Pensi che con questa ampia diffusione di social network fare blogging abbia ancora senso?

Certo che sì, altrimenti forse non sarei nemmeno qui. Ma bisogna chiarire una cosa: non considero il blog un social network, non gli attribuisco le stesse funzioni, e men che meno ne faccio lo stesso utilizzo. Non credo esista un social network che possa davvero rimpiazzare un blog, semplicemente perché sono due cose diverse. Il blog è un sito internet, un prodotto che puoi costruire da zero, e che puoi sempre modificare, in qualunque momento e come preferisci. Puoi riempirlo di tutto, di parole scritte, di foto, di canzoni, e nessuno ti verrà mai a dire che sei fuori moda, che stai perdendo tempo, che quello che pubblichi non interessa a nessuno. I social network sono pieni di regole non scritte, standard a cui ci si sente di doversi adeguare, così si perde quella sincerità, il coraggio di seguire davvero il proprio cuore, perché abbiamo paura del giudizio, ma soprattutto del confronto con gli altri. I social network si basano sui numeri. Numero di followers, numero di likes, numero di commenti. Poco importa quello che si è effettivamente detto con quel post. Anzi, il più delle volte non si è detto assolutamente niente. E’ da questa infausta tendenza che sono nati gli influencers, ed io sono ancora qui che mi chiedo come possa essere una professione. Nascono dalla tendenza ad uniformarsi, a perseguire gli stessi ideali, a fingere di avere gli stessi pensieri: un esercito di soldatini del web, con la stessa divisa e la stessa maschera sulla faccia. Ecco perché credo che fare blogging abbia senso. E avrà sempre un senso per chi ci crede, per chi si riconosce in se stesso, senza bisogno di seguire una schiera di imitatori. Nella cerchia ristretta dei blog ho sempre trovato più onestà, più maturità, e meno cattiveria. Un’isola felice che non ho intenzione di abbandonare.

Cosa stai leggendo e seguendo in questo periodo?

A parte i libri universitari, non sto leggendo niente. Ma mi sono ripromessa di recuperare tutti gli arretrati quest’estate, dopo la tanto desiderata laurea. In compenso sto seguendo “Diavoli”, la serie tv italofrancese ambientata nel mondo della finanza. Un thriller che mette insieme intrighi politici e attività bancarie, una delle poche serie di produzione casalinga che mi ha convinta, e non solo, appassionata. Sarà che non è facile da comprendere, ma l’ho iniziata proprio mentre preparavo l’esame di intermediari finanziari, e mi sono ritrovata a capire più di mio padre i termini tecnici utilizzati. E’ fatta bene, ed è abbastanza comprensibile anche per chi non conosce minimamente il mondo finanziario.

Quanto il Covid, e in particolare il lockdown che ne è conseguito, ha influito sulla tua quotidianità?

Beh, molto, e penso di averne parlato fino allo sfinimento. Abituata ad avere sempre la casa vuota per almeno mezza giornata, sono stata costretta a una convivenza forzata con i miei genitori, con mia madre alle prese con lo smart working e con mio padre perennemente al telefono. In tutto questo ho dovuto rinunciare alle lezioni universitarie in presenza, mi sono dovuta adeguare, e in qualche modo riuscire ad apprezzare le spiegazioni da remoto su Microsoft Teams. Non è mai stata la stessa cosa. Gli esami a distanza, poi. mi hanno fatto scoprire per la prima volta dopo tre anni cosa sia l’ansia. Ansia che cada la connessione e il professore mi annulli l’esame. Con il lockdown ho continuato a uscire nei duecento metri consentiti, ho camminato in quei duecento metri a costo di lasciare un solco con le scarpe. E non ho visto gli amici per due mesi. Molti penseranno: cosa vuoi che sia, vi sarete sentiti per telefono, vi sarete videochiamati. Sì, certo, ed è stato anche bello. Ma non è mai stata la stessa cosa. Sarò io che ho uno spirito di adattamento pari a zero, e che oggi mi disturbano perfino i plexiglass nei ristoranti. Ma la mia quotidianità è stata letteralmente stravolta. La mia, quella della mia famiglia, quella dei miei amici. Impossibile affermare il contrario.

Cosa ne pensi del femminismo attuale?

E’ un argomento che non ho mai avuto il coraggio di trattare. Mi è sempre sembrata una parola troppo importante, troppo pesante da nominare senza una conoscenza a riguardo. “Femminismo”, a volte mi sembra che si usi addirittura a sproposito. Dici una cosa a favore delle donne? Allora sei femminista. Non credo sia così. Il femminismo non è questo. Il femminismo ci ha portato dove siamo oggi, e non è stato certo per una parola detta, ma per una battaglia portata avanti con coraggio, in difesa dei diritti e delle pari opportunità. Non mi sento di poterne parlare con cognizione di causa, ma credo una cosa: sono state vinte molte battaglie, ma non siamo ancora giunti alla fine della guerra. Le donne non hanno ancora gli stessi diritti e le stesse opportunità degli uomini. E’ un dato di fatto. Basta guardare il reddito medio o la progressione di carriera, le discriminazioni sul posto di lavoro, che non sono per forza violente o rumorose, anzi, il più delle volte vivono nascoste dietro contratti regolari, firmati e non impugnabili da nessuno. E poi ci sono i titoli di giornale, quelli che fanno notizia, gli stupri, o peggio i femminicidi. Non conosco il femminismo, ma mi sono fatta un’idea su quanto sia difficile a volte cambiare le cose, specie se si pensa ancora che indossare una gonna sia andarsela a cercare, o se ancora gli uomini suonano il clacson appena vedono un bel culo. Non basta cambiare le leggi, se questa è la società civile in cui viviamo. E il femminismo moderno ha ancora tanto contro cui lottare.

Ebook o libro cartaceo?

Se me lo avessero chiesto un anno fa, avrei risposto senza alcun dubbio: cartaceo. Ma per Natale mi sono fatta regalare il Kindle, e ho scoperto una comodità inimmaginabile. Non lo preferisco, è freddo, e non sento il profumo della carta, non posso sottolinearlo, e neppure fare le orecchie alle pagine. Ma la mia libreria stenta ad avere uno spazio vuoto in cui infilare anche solo un libricino. Così ho deciso che avrei iniziato a comprare solo i libri che avrei voluto conservare, e gli altri li avrei letti in formato ebook. Devo dire che non mi sono pentita, ho potuto risparmiare, ho posto un freno al mio istinto di svuotare ogni volta la Feltrinelli, e ho imparato ad apprezzare una libreria digitale che si può portare ovunque.

Riporto in auge una vecchia diatriba, Beatles o Rolling Stones?

Sarò una delle poche a non essere mai entrata nella diatriba con una scelta netta, perché ho sempre ascoltato entrambi. Ma se dovessi decidere, preferirei una vita intera ascoltando i Beatles.

Dato che le domande sono state tra le più originali lette in questi anni, e dato il poco tempo e la scarsa ispirazione di questo periodo, ho deciso di riproporvi le stesse. Una sorta di plagio, spero mi sia consentito.

Nomino a mia volta:

https://langolinodellacultura.wordpress.com

https://citylights24.wordpress.com

https://serial-escape.com

https://illettorecurioso.com

https://latanadeilibri.home.blog

https://attieffimeri.wordpress.com

E chiunque altro abbia voglia di partecipare.

13 pensieri su “Liebster award 2020

  1. Grazie mille per aver partecipato, con risposte davvero interessanti! E mi fa piacere che hai apprezzato le domande tanto da riproporle ❤️

    Gaia

    P. S. Si, Beatles tutta la vita 😂

  2. Ma wow, ti ringrazio davvero tantissimo per aver pensato a me! Sto preparando le risposte anche a un altro e ho tempi in generale un po’ lunghi, ma parteciperò sicuramente anche a questo ❤

  3. Ciao Penny, grazie per aver pensato anche a me, non ti prometto che lo faccio però ci provo, non tutte sono domande accessibili. 😄 Però volevo dirti che il link sui blog che hai proposto, compreso il mio portano a un unico indirizzo di un altro blog. Questo è sicuramente un mistero di WordPress. 😉

  4. Quanti spunti!
    Mi limito a dire che anch’io scrivo innanzitutto “per me”, ma ovviamente con una attenzione per chi potrebbe leggere. Molte volte il “taglio” dato agli articoli (non sono “post”: un “post” lo scrivi in 2 minuti per salutare, io e te ci accomuniamo anche per scrivere “articoli” certamente pensati e meditati) è fatto in funzione di chi poi leggerà.

    E poi no… non è “solo” un social, perché qui non mettiamo le foto dei piatti che mangiamo o dei tramonti in spiaggia. Nel blog ci sono pensieri, contenuti e – perché no? – cultura.

    • Vero, io non so mai se dire post o articolo, ma mi hai chiarito ogni dubbio! Nei blog per fortuna c’è cultura, basta cercarla e senza neanche tanto sforzo, sarà che è un po’ una nicchia ma è anche il suo bello 🙂

  5. Pingback: Liebster Award 2020 (#2) | Tag – LA TANA DEI LIBRI

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