Non mi rivolgerò a qualcuno in particolare, non ad un Ministro dell’Università inesistente, non ad un rettore che non ci ascolta, non ai professori che poco possono fare per noi. Noi chi? Noi laureandi in tempi di coronavirus. Dimenticati fin dall’inizio, da quei primi giorni di marzo in cui siamo stati costretti a casa, riconvertiti a macchine da apprendimento veloce, con quelle lezioni a distanza che abbiamo dovuto farci piacere, perché non ci sarebbe stata un’altra soluzione. Studenti rimasti bloccati in altre regioni, lontani dalle famiglie, privi di una connessione ad internet decente, essenzialmente soli, ed altri costretti a litigarsi le stanze con i fratelli, con i genitori in smart working, senza avere neanche un momento per chiudere gli occhi e non pensare. Studenti che si sono dovuti arrangiare, che hanno dovuto comprendere, senza che ci fosse nessuno a spiegare per loro. Abbiamo atteso le conferenze stampa pensando che prima o poi saremmo stati citati, ma non è mai successo. Abbiamo cercato notizie inesistenti, facendo domande, e confrontandoci, senza risposte da condividere. Eppure siamo rimasti lì, davanti al computer per ore, perché era quello il nostro dovere e il nostro privilegio. Privilegio, sì, perché si chiama diritto allo studio, e sappiamo che non è da tutti poterlo esercitare. Abbiamo pagato per questo. Tasse annuali, tasse di laurea, tasse per iscriversi ai corsi magistrali, tasse che dovrebbero comprendere laboratori, biblioteche, aule studio, servizi di segreteria, ma non abbiamo più ricevuto niente. Solo dei corsi di studio da reinventare, software che a volte si sono chiusi da soli, e professori che spesso non ci hanno messo nemmeno la faccia, non hanno letto le nostre domande, non hanno mai interagito con noi.
Ci è stato chiesto di fare gli adulti, di riconoscere che in fondo non eravamo noi la priorità, che potevamo cavarcela da soli, e lo abbiamo fatto, nonostante il disagio e la paura, nonostante fosse difficile, ma nessuno ce lo chiedesse davvero. Abbiamo continuato a costruirci un futuro, senza nemmeno sapere se con un pezzo di carta in più ci sarà posto per noi. Poi le cose hanno iniziato migliorare, e le priorità sono divenute altre. Prima i runner, poi i congiunti, poi gli aperitivi, poi la serie A, e poi ancora le discoteche. Mentre il mondo si raccontava di essere tornato alla normalità, noi studenti universitari abbiamo iniziato la sessione estiva a distanza. Esami online strutturati male, appelli perduti per una connessione ad internet troppo debole, professori che sono partiti dal presupposto che tutti copiassero, e il lavoro di un intero semestre sminuito, perché dicono che la nostra sia soltanto fortuna. Ma dov’è la fortuna quando non abbiamo mai avuto certezze, né le abbiamo tutt’ora? Ci siamo visti cambiare le modalità di accesso ai corsi di laurea, i libri da studiare, le scadenze da rispettare, non sappiamo se a settembre potremo tornare in aula, ma non abbiamo diritto di lamentarci, perché le priorità sono sempre altre, perché noi siamo il futuro, e ce lo dobbiamo costruire da soli. Abbiamo guardato da casa gli assembramenti nelle piazze, la gente al mare, il campionato di calcio in ripartenza, gli esami di maturità in presenza, la decisione di tornare a riempire tutti i posti in aereo.
Con l’innocente pazienza di chi vorrebbe credere ancora al proprio paese, io mi sto per laureare in economia, e non riceverò nemmeno la proclamazione a distanza. Non potrò vivere il momento di gioia davanti alla commissione, regalare ai miei genitori un giorno speciale, il frutto dei miei sacrifici ma anche dei loro, che mi hanno permesso di studiare, e che sognavano già di vedermi in piedi in cucina, con un bel vestito, la corona d’alloro da indossare, e il voto di laurea sospeso nel silenzio. Non porterò nel cuore quel ricordo, perché non ci sarà mai stato. E non trovo una spiegazione in questo, se non il menefreghismo di chi potrebbe venirci incontro, ma non ha interesse a farlo. Dopo tre anni di impegno, l’unico riconoscimento che ci verrà concesso è un voto scritto su una email. Nessun complimento, nessun professore davanti a noi, nessuna stretta di mano virtuale, soltanto un freddo schermo bianco e una email impersonale. Trovo assurdo che si continui a parlare di normalità, quando noi studenti veniamo ignorati da mesi, lasciati da soli a gestire un’emergenza che ha coinvolto tutti, e in cui forse avremmo avuto bisogno di un po’ di aiuto, ma evidentemente non saremo mai davvero una priorità. Me ne sto convincendo, con tutta la tristezza che questo si porta dietro. Volevo davvero credere in questo paese, volevo credere che fossimo importanti, che l’impegno portasse a qualcosa. Ma quello che ho ricevuto sono state tante porte in faccia, domande senza risposta, dei forse a profusione, e un’incertezza enorme su un futuro che si avvicina, e che sembra non importare a nessuno. Siamo stati zitti mentre venivano annunciate le riaperture, attività che danno da mangiare a tante famiglie, ma che spesso servono anche a pagare gli studi dei figli, e in quei sacrifici c’è il desiderio di vederli sereni, soddisfatti dei risultati ottenuti, determinati a realizzare i propri sogni. Ma quanto può valere un voto scritto su una email? Una corona d’alloro da indossare da soli, e i complimenti da farsi allo specchio, perché soltanto noi sappiamo quanto ce lo siamo meritati? Siamo stati privati di tante opportunità, ma la sensazione peggiore è quella di non contare niente, di essere soltanto dei numeri di matricola da buttare fuori.
Ora lo capisco. Capisco i giovani che se ne vanno all’estero, che partono per cercare fortuna, che lasciano tutto per inseguire i propri sogni. E chi ne parla come se fossero dei fuggitivi, forse dovrebbe prima guardarli in faccia, chiedere loro il perché di quella scelta, e che cosa sia mancato loro in questo paese. Posso dirvelo io. Considerazione. Fiducia. Occasioni. Non basta ripetere che l’istruzione è un diritto, che le nuove generazioni sono il futuro, non bastano le parole, i discorsi retorici in televisione, o nuove scuse ogni settimana per non affrontare il problema. Così si perde tutti. Perdiamo noi, nuove generazioni, perdono le nostre famiglie, perde la nostra economia, perde l’Italia stessa. Non siamo stati ascoltati quando chiedevamo di poter sostenere gli esami in presenza, quando ci veniva chiesto come avessimo trovato la didattica online, quando abbiamo atteso di diventare una priorità, ma evidentemente invano. E adesso la mia laurea sarà una email. Magari finirà addirittura tra la posta indesiderata, per errore. E sarà brutto, sì, anche se la proclamazione è soltanto una formalità, anche se sembra un gesto inutile, anche se dura pochi minuti, e non aggiunge valore al pezzo di carta che riceviamo. Non vuol dire che non sia importante, o che per noi non sia l’ennesimo sacrificio. Solo che siamo stanchi di sacrificarci e basta, tutto qui.
Nelle parole di un professore a cui avevo chiesto una lettera di referenza, ho trovato quello che mi è mancato, e che mi mancherà. Ho trovato un riconoscimento che va oltre il voto, i complimenti di una persona adulta, la sensazione di valere qualcosa, e l’orgoglio di chi sta dall’altra parte, e vorrebbe che i suoi studenti avessero più coraggio. Non è un numero che fa la differenza. E non sarà il voto di laurea scritto in una email a farci sentire fieri. In un mondo di gelo e formalità, ringrazierò sempre il professore di econometria per le sue belle parole. Non è da tutti dedicare il proprio tempo agli studenti, guardandoli uno ad uno e riconoscendo in loro delle persone.
“Hai preso 33 nell’intermedio. Hai sudato e hai meritato. Te lo dovevo, dopo quello che hai fatto tu. Guarda avanti con passione“.
Se qualcuno ascoltasse, si accorgerebbe che in fondo chiediamo soltanto questo.
cara ho letto con apprensione la tua lettere e sfogo, hai ragione da vendere. io ho sostenuto due sessioni di laurea (triennale e magistrale), furono penose entrambe, solitarie e soprattutto la prima poco rispettosa da parte della preside della commissione ma sono passati anni, va bene così. La mail è qualcosa di triste ma lo sforzo che hai fatto lo studio, le notti sveglia, le mattine prestissimo sono tue le hai fatte per te e sì hai ragione è bello e importante avere qualcuno vicino che si congratuli e ti dica ben fatto! Complimenti! Perchè in questa Italia triste laurearsi non è da tutti. Lascia che te li faccia io i complimenti non con una stretta di mano ma con un congratulazioni a distanza, BRAVA!! e ripetilo quando vedrei la mail, qualsiasi voto ci sarà perchè dopo sarà dura ma quel brava te lo devi e se non lo farà l’istituzione ci saranno altri e prima TU.
Ti ringrazio di cuore per belle parole! E hai detto una grande verità, i primi a dirci bravi dovremmo essere noi, anche quando ci sembra difficile. Mi auguro solo che qualcuno prima o poi ascolti davvero, e provi a cambiare le cose
lo spero tanto che cambi. abbi fede e in bocca al lupo per tutto!!
Crepi il lupo!
Brava! 😀
Grazie! 🥰
Abbiamo fatto tutti tanti sacrifici, voi studenti, certo, diventati invisibili nessuno, ma pensate pure alle tante aziende fallite, a chi non ha potuto alzare la serranda del negozio costretto a chiudere per sempre. Qualcuno si sarà pure suicidato, perché questo succede, e i nostri piccoli sacrifici di persone diventate nulla sono, per l’appunto, nulla, davanti ai drammi più grandi.
Ma la cosa peggiore è che tutto questo non è servito a nulla, e dopo quasi due anni siamo ancora a decine di migliaia di contagi giornalieri, e una pletora di altri malati che non si possono curare perché anche le loro malattie sono diventate invisibili.
Ne usciremo, certo, ne usciremo. L’umanità sicuramente ne uscirà, per quanto riguarda i singoli la situazione è decisamente più triste e complessa.