Ripartenza ammaccata

Oggi il Paese riparte. Ammaccato, dolorante, convalescente, ma riparte. Un Paese dal tessuto economico compromesso, con rabbia e determinazione, riparte. Bar, ristoranti, parrucchieri, estetisti, negozi, palestre, ci si augura giorni migliori, ci si accontenta dei pochi clienti, ci si sforza di avere fiducia. Ma a volte è difficile. Quante serrande abbassate conteremo oggi? E domani? E tra un mese o due, quando si tornerà a pagare le imposte, e tante persone non ce la faranno?

A metà febbraio il bar sotto casa mia ha cambiato gestione. Lo ha comprato una famiglia cinese, marito e moglie, gentilissimi, sempre sorridenti, con la voglia di imparare. Sono stati travolti da una situazione che non è mai stata sotto il controllo di nessuno. Ma oggi, il loro caffè, non lo compra nessuno. In dieci o venti persone sono in fila davanti al bar più lontano, quello che si fa pagare dieci centesimi in più, perché se lo può permettere, perché il quartiere è pieno di ricchi. Ma l’ingiustizia pesa. Vedere quel bar mezzo vuoto, e lui in piedi all’ingresso, in attesa dei pochi clienti che gli compreranno al massimo un caffè. L’altro giorno mio padre ha ordinato due brioches. Perchè sono buone, e perché non è giusto. Non è giusto che per caso e sfortuna ci rimettano le brave persone, quelle che ce la mettono tutta, che lavorano con passione, che hanno sempre il sorriso e non si lamentano mai. Nemmeno adesso, con le rate del mutuo da pagare, ha perso il suo sorriso.

C’è chi invece ha già lasciato perdere: è il bar di fronte alla mia università.

Ed è difficile spiegare il dispiacere, quanto io fossi affezionata a quel locale, perché in effetti non ci si rende nemmeno conto di quanto certi luoghi siano importanti per noi. Ma tra quelle mura ho studiato, ho giocato a carte, ho brindato alla fine degli esami, ho conosciuto nuovi amici, ho organizzato gite e cene di gruppo. E durante le pause tra le lezioni, sono corsa lì per un caffè al volo, e mai una volta sono stata trattata male, mai una volta ho dovuto aspettare. Ho anche pranzato, in quel bar. La donna al bancone ci sapeva fare, era come se fosse nata tra gli studenti universitari, nata per fare quello, per chiedere loro quando fosse la laurea o se le lezioni fossero noiose. Era un’abitudine, per noi. Un punto di riferimento. E forse è sbagliato prendersela, ma non è giusto. Stiamo perdendo un pezzo della nostra storia, lavoratori onesti che hanno visto la propria attività morire, e che davanti a una serranda abbassata hanno capito che non ce l’avrebbero fatta. Non solo bar, ma anche parrucchieri, negozi, circoli sportivi, piccoli club. Molti non sappiamo neppure che sono esistiti. Ma quando a chiudere è un luogo in cui siamo cresciuti, seppur per due anni e mezzo appena, fa male. E ti fa capire quanto oggi sia sì una ripartenza, ma anche un momento di riflessione, e di verità. Quanto ci ha colpiti questa situazione? Quanto siamo vulnerabili davanti a una malattia che prima colpisce le persone, e poi i posti di lavoro, l’economia, la nostra ricchezza? Non si può quantificare, ma le ferite non si contano sulle dita di due mani. Molte sono ferite fantasma, alcune neanche annunciate, sono semplicemente portoni chiusi, con i vecchi cartelli ormai logori “Apriremo il prima possibile”. Non è bastato. E noi universitari piangiamo un bar che da oggi non esiste più, ma tanti lavoratori piangono un reddito che non ricevono più. E forse proprio su questo bisognerebbe riflettere. Perché l’emergenza non è mai stata soltanto sanitaria, e la lotta non è mai stata soltanto contro il virus, ma contro un sistema che si è dovuto fermare, e come una macchina industriale, fermandosi si è inceppato, buttando via gli sforzi di tantissime persone.

Quindi, mi raccomando, ripartiamo, ma facciamo in modo che il sistema non debba fermarsi di nuovo.

30 pensieri su “Ripartenza ammaccata

      • se i miei cacoli sono esatti, muore di Covid-19 e problematiche annesse 1 persona su 1.892 abitanti. Su 1.892 abitanti un tot. imprecisato di persone si vanno a sommare a coloro che un lavoro già non ce l’avevano. Dall’altra parte abbiamo i demonizzatori della solidarietà. Io direi che si, sta a noi aiutarci l’un l’altro, ma….come?

      • Il come non saprei nemmeno se esiste in questo momento… ma forse provando a tornare a quello che eravamo prima, con calma e con tutti i limiti della situazione

  1. ho provato parte delle sensazioni che hai descritto diverse volte ben prima del coronavirus, quando tornando nella mia città dopo qualche anno vedevo piano piano chiudersi attività che avevano un qualcosa di importante per me… ovviamente il covid ha accelerato e amplificato questa situazione ma credo che sia in parte, parte della vita… con questo non voglio dire che dobbiamo accettare tutto o che non valga la pena dare peso a queste sensazioni legate a ricordi.. dico solo che fanno parte del nostro passaggio.. e che non tutti potevano essere evitati..

    • Certo hai assolutamente ragione, il mio timore è che questo fenomeno possa avere un’impennata, e non sia più parte della vita ma qualcosa di più grave. Ovviamente solo il tempo darà le risposte

      • eh ti capisco, io ho lo stesso timore legato allo sport e ai bambini e ragazzi, che gli effetti di questa situazione possano pesare enormemente su alcuni di loro… purtroppo solo il tempo dirà… e noi possiamo solo che aspettare le risposte…

  2. Condivido in pieno le tue parole; è brutto vedere un posto che abbiamo frequentato, chiudere da un giorno all’altro i battenti; ma ancora più brutto è vedere la gente malfidata, che non frequenta certi locali, nella fattispecie quelli cinesi, perché da lì venne fuori tutta questa storia del Covid 19. Ricordo ancora quanto disse tempo fa un giornalista al telegiornale: non frequentare locali gestiti da queste persone, alla lunga equivarrebbe a sviluppare l’odio razziale per queste persone… e questo non va bene! Come te mi auguro che questa riapertura sia fatta con coscienza, e che la tua bella città torni a vivere serenamente!
    Un abbraccio! 🙂

  3. Qui a Bolzano, grazie all’autonomia, molte attività avevano già riaperto prima, e tra queste anche bar e ristoranti. Compatibilmente con il mio braccio rotto (sto facendo fisioterapia dopo l’operazione) mio marito ed io abbiamo ripreso a frequentare i nostri soliti localini, però un paio so già che non riapriranno 😢, mentre uno è in difficoltà perché la clientela è diminuita parecchio, un po’ per paura, un altro po’ per mancanza di soldi da parte degli avventori, e poi ci sono quelli che ormai si sono abituati a mangiare a casa…

  4. La realtà è più dura di quello che si dice ai tg. Da noi 12 attività tra bar e ristoranti chiudono definitivamente. Già era un territorio a rischio oggi più che mai. E la solidarietà dice poco qui, ci vorrebbe un intervento incisivo del governo, che, malgrado le sbandierate parole, non è arrivato.

  5. Uno dei problemi a cui non si è pensato è che, almeno in Lombardia e in particolare a Milano, a eccezione di chi non ha capito che questo non è un gioco, le persone hanno paura… Paura di entrare nei negozi perchè c’è troppa gente, paura di andare a prendere il caffè se la barista tiene la mascherina sul mento… Paura di andare al ristorante perchè non sei certo che si stiano seguendo i protocolli di sicurezza. Paura che senza tamponi e chiare indicazioni ai commercianti regni l’anarchia e ci ritroviamo fra una settimana di nuovo fermi, chiusi, immobili. Abbiamo avuto troppi morti per non avere paura e la paura regnerà ancora a lungo, nonostante questa supposta e confusa “ripartenza.

    • Ed è normale, la paura c’è dopo qualsiasi evento drammatico, pian piano si riuscirà non dico a vincerla ma a tenerla sotto controllo, ma questo non può avvenire da un giorno all’altro

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