INIZIATIVA PER DISCUTERE INSIEME – DAL 15 AL 22 MAGGIO: racconti, poesie, testimonianze personali e via dicendo, perché condividere è il miglior modo per combattere insieme.
Nascosta dietro una tenda nera giace una mano, violenta, senza unghie per graffiare o nocche sbucciate. È una mano che non porta guanti, una mano senza impronte digitali. Una mano che forse ha sofferto, ma nessuno può saperlo. Dietro a quella tenda, un ragazzo. Avrà pochi anni, è poco più di un bambino. Siede alla scrivania immerso nella bella favola del suo computer, naufrago forse senza saperlo, equipaggio perduto di una società che non sa controllare sè stessa. È triste, quel ragazzo, forse senza saperlo. E agisce come un malvagio di un videogioco, forse senza saperlo, o forse sí. Con la mano nascosta cerca le sue vittime, sfoglia la loro vita raccontata in una serie di fotografie, qualche commento, poche parole lasciate ai puntini di sospensione. La tiene chiusa nei pugni con il bisogno ossessivo di diventarne protagonista, e come un’alba illumina prepotente ogni silenzio, fino a bruciare gli occhi. Sono fantasmi, forse senza saperlo. Fantasmi che tormentano, pungono, come schegge conficcate nella carne viva, e ad ogni passo sembrano sporcarsi di sangue sempre di più, sempre più a fondo. È un bullismo che invade le case senza entrare dalla porta o dalla finestra, un bullismo vigliacco e silenzioso che lavora come uno scorpione e uccide dandoti le spalle. Con le mani tese su di una tastiera, le armi sono le parole, taglienti, dure, come pietre della montagna, parole scagliate al centro del lago per sconvolgere la pace e guardare le onde infrangersi davanti ai piedi. È cattiveria, forse senza saperlo, o forse sì. E dietro ad una tenda scura un ragazzo vola sopra i tetti cercando la propria vittima, come un falco in cerca di cibo, e ci si scaglia contro con la precisione di un cacciatore, sparando da lontano, e poi sempre da più vicino. Bugie, fantasie, invenzioni, una valanga si trascina sul versante, sotto il peso delle mani sulla tastiera. È un’ombra che insegue le sue predilette, le calpesta e le sottrae al sole, alla pace, alla serenità. Un’ombra che anche di notte si insinua tra le pareti della cameretta, e punge nello stomaco là dove la cena non é mai entrata, e poi negli occhi umidi, chiusi con la forza di volontà ma intenti a fissare il buio. È forse il bullismo peggiore. È il bullismo che scalfisce l’anima, che ti toglie la forza pezzo dopo pezzo, lasciandoti nudo con un corpo che non senti più tuo. È il bullismo che non ti guarda in faccia, ma ti pugnala alle spalle, facendoti cadere sulle stesse ginocchia oramai piene di cicatrici. È un bullismo fatto di perfidia e vergogna, un bullismo che ha forse troppa paura di sè stesso per uscire allo scoperto, o forse no. Forse semplicemente è tutto più facile per i bulli. I tempi cambiano, e stiamo perdendo di vista il nostro stesso mondo. Non ci rendiamo conto di come ogni pensiero finisca spesso nelle mani sbagliate, conseguenza di un continuo mostrare e dimostrare la propria vita per seguire la massa. Abbiamo sempre bisogno di certezze, e allora ci raccontiamo, forse a noi stessi, che siamo felici. Ma quel bullismo dei computer attacca come un virus, cancella ogni sorriso, ogni sicurezza, ogni nostra briciola di orgoglio. Come il sole ad agosto prosciuga ogni goccia, lasciando un corpo solo. E poi ci chiediamo perché sia morto a tredici, quattordici anni, perché quel ragazzo fosse tanto cattivo, ma nessuno vede, nessuno guarda, quando il silenzio e la vergogna nascondono atroci battaglie. È che forse non sappiamo guardare. Oppure guardiamo solo nel posto sbagliato. Come quando una ragazza ebbe il coraggio di denunciare e di ricominciare. Ma il mondo é immenso, e in troppi si rifugiano in ciò che non appartiene a loro. Social network, messaggi, fotografie, testi che nessuno leggerà mai. Sfoghi che rimangono muti e inesplorati. Da troppo tempo gridiamo basta, basta al bullismo, basta agli insulti verso chi è diverso, basta all’emarginazione, basta a questi muri che spaccano la società.
(qui il racconto pubblicato il 31 maggio 2017)
Bullismo. Quella parola che si associa sempre all’adolescenza, al tormento dei compagni di classe, alle scuole dei film americani, dove i ragazzi vengono picchiati e umiliati. Una parola brutta, che in tanti hanno provato a cancellare. Ma sono ricordi indelebili, che ti lasciano addosso insicurezza e paura, la sensazione di aver fatto qualcosa di sbagliato, o di non essere in grado di sopravvivere tra i leoni. Ci insegnano a lottare, a difendere il nostro spazio, a usare il dialogo e l’espressione degli occhi, ma negli ultimi anni si è scoperto un mondo sconfinato, un mondo in cui è impossibile nascondersi, dove non esistono confini, dove nessuno ha mai imposto una legge. E’ il mondo di internet. Così pieno di opportunità, e altrettanto carico di insidie. Non ci sono sguardi, nel mondo di internet. A volte non c’è nemmeno un dialogo.
Avevo quindici anni quando l’ho capito. Ho capito che le persone sono capaci di far male anche senza colpire. Lì dove tutto circola indisturbato, dove le chiacchiere di paese diventano un’infrangibile catena, dove tutto può essere visto da tutti e nessuno può essere fermato, basta una semplice fotografia, un video privato, intimo, come la tua prima volta con un ragazzo, un ricordo rubato da pubblicare in rete. E il mondo ti crolla addosso, perché quel momento tanto delicato non è più tuo, e lo vedi sugli schermi dei compagni di classe, poi dei compagni di scuola, e dopo un paio di giorni gli sconosciuti ti guardano, perché loro ti hanno già vista. Sì, hanno visto quel lato di te che doveva appartenere a un primo amore. E invece sei tu che adesso guardi i loro occhi, e vedi il riflesso di quel video in cui ti si vede perfino in faccia, e provi soltanto vergogna. A quindici anni l’ho visto succedere a una persona, una ragazza come me, e ho ricevuto quel video anch’io, ma non l’ho mai voluto guardare. Il mondo intorno a me sapeva, e commentava, giudicava, come se quel ricordo rubato fosse una recita, come se fossero soltanto attori, e non ragazzi fragili e feriti. Se n’è parlato per mesi, e lo ammetto, non sono riuscita a guardare quella ragazza allo stesso modo, non riuscivo nemmeno a non notarla, perché il suo nome era sulla bocca di tutti, il suo viso era negli occhi di tutti, e mi faceva ribrezzo, ma al tempo stesso paura. Paura per lei, perché se fosse stata meno forte, meno egoista, o anche solo meno bugiarda, sarebbe crollata.
Era il 2013, e sembra un secolo fa. Da allora il mondo di internet è cresciuto, i social network si sono moltiplicati, e nella fitta rete di relazioni virtuali il bullismo ha trovato il modo di nascondersi. E siamo così assuefatti da quella rabbia che ci sembra implicita, così avvezzi ai messaggi di odio, che tante volte non ce ne accorgiamo nemmeno. Ci sembra normale che tra i commenti ai programmi televisivi si leggano insulti, minacce, critiche pesanti buttate in mezzo a un calderone, e lasciate bruciare. Eppure non dovrebbe essere normale. E’ come se vi fosse un legame imprescindibile tra i due mondi, come se quelle persone che ci appaiono in due dimensioni fossero di cartone, e fosse in qualche modo più lecito far loro del male. Ma a volte sono soltanto ragazzini. Giovani con un sogno puro, ma anche tanta incoscienza. O forse soltanto troppa fiducia, perché si pensa sempre che il prossimo ci rispetti, che l’impegno venga ripagato, che gli adulti siano dalla nostra parte, ma non è sempre così. Ho letto minacce di morte contro questi ragazzi. Ho letto i tentativi dei genitori di intervenire, perché nessun genitore può sopportare il dolore di un figlio senza poterlo proteggere. E ho letto insulti perfino verso quei genitori. Come se un velo di cattiveria e apatia avesse investito il genere umano. Come se fosse normale, e al di là dello schermo non ci fosse un volto rigato di lacrime, ma un pezzo di legno intagliato, morto. Ma come si può gestire tutto questo? Inseguire un sogno e ritrovarsi immersi in un mondo in fiamme, in cui a volte è difficile chiedere aiuto, perché sembra più semplice fingere, dire che andrà tutto bene, che dei commenti degli sconosciuti non importa niente. Ma i nostri occhi li leggono, la nostra mente ricorda, e le emozioni non si possono fermare.
Non solo ragazzini, ma anche persone adulte. Il più delle volte chiudono tutti gli accessi ad internet, cancellano tutti i social network, ed è un po’ come chiudersi in casa per scappare da un aggressore, ma senza chiamare la polizia. Il problema resta, e s’insinua nei ricordi di parole stampate in inchiostro nero, parole che cerchiamo di dimenticare, ma che un cuore ferito non riesce a non ascoltare. A questo si aggiunge il senso di incertezza, il non sapere quello che sta accadendo dietro lo schermo spento, e sono pugni invisibili, colpi sulla schiena ricevuti da una porta chiusa. Di recente è stato scoperto un vero e proprio traffico di immagini rubate, foto di minorenni, di figli, di mogli, che circolano tra migliaia di persone senza che i diretti interessati lo sappiano. Violati e senza alcun sintomo, senza ferite sulla pelle, ma da qualche parte una ferita è pronta a sanguinare. Come si può fermare tutto questo? E come si può vivere con la paura che i nostri ricordi vengano presi, violentati, calpestati, e mai restituiti intatti, perché troppe persone vi hanno scritto sopra troppe parole? Ci si spreca in raccomandazioni, attenzioni, precauzioni, ma a volte non basta. Un errore può gettare la tua vita in mani altrui, e tu rimani proprietario a metà, inconsapevole che qualcuno, dall’altra parte dello schermo, stia abusando di te.
Bullismo e cyberbullismo, un filo così sottile li separa, sono come due cerchi concentrici, e a volte si è vittime di entrambi. E’ come una moda malsana, filmare tutto con il cellulare e pubblicarlo in rete, perché l’aggressione possa continuare. Il momento non è più tuo e del tuo aguzzino, no, appartiene al mondo, quello stesso mondo che è pronto a picchiarti ancora, con parole che tutti possono leggere e un odio che tutti possono condividere. Non è richiesto nemmeno un motivo. Bullismo che si espande, come un esercito che si unisce ad un altro esercito, con la stessa ferocia e con armi diverse, ma capaci dello stesso male. Video che diventano virali, in cui si vede tutta la crudeltà di chi non rappresenta la dignità umana, ma una bestia in un circolo di predatori. Come si può sopportare di vedersi lì, sullo schermo, accartocciati a terra, colpiti senza pietà e senza ragione, e soffrire il doppio, perché è come ricevere due volte lo stesso pungo, su quello stesso livido che non va via? Non si può, perché troppe volte il bullo vince la sua stupida guerra, e lascia sul campo vittime agonizzanti, intrappolate nella propria stessa paura, incapaci di rialzarsi in piedi.
Eppure rialzarsi in piedi si può. Tornare a vivere, ad amare, a voler bene agli amici, si può. E si può anche chiedere aiuto, anche se sembra impossibile, anche se la vergogna ci blocca, Perché non siamo noi a doverci vergognare. Non siamo sbagliati, non siamo deboli, non siamo inferiori. Siamo bellissimi e pieni di risorse, questo ci dobbiamo ripetere, e questo dobbiamo rispondere a chi ci scrive il contrario. E’ vile chi si nasconde dietro un paio di dita e una tastiera, e sono vuote le sue parole quando nemmeno ci conosce, o non riesce a guardarci in faccia. Non è coraggio, non è forza, non è superiorità. Il bullismo è una forma di violenza. Una violenza gratuita e devastante. Ma solo combattendo insieme per la pace, il rispetto, l’unione, si potrà fermare, o quantomeno rallentare, un fenomeno che oggi ha trovato una nuova casa. Denunciamo, anche se non siamo noi le vittime, anche se la vittima non la conosciamo. Denunciamo sempre, perché le radici di una violenza scritta e silenziosa non raggiungano i confini della società. Denunciamo per proteggere. Denunciamo per cambiare. E impariamo anche ad ascoltare, a raccogliere gli sguardi impauriti di chi non sa cosa fare, perché tante volte condividere un problema è il primo passo per imparare a risolverlo. Si può fare, non ci si deve arrendere. Si deve continuare a sognare
Vi lascio un po’ di numeri, soltanto per quantificare il fenomeno che con Citylights e A place for my head abbiamo deciso di trattare:
In occasione della Giornata nazionale contro il bullismo e Cyberbullismo (il 7 febbraio) e del Safer Internet Day (l’11 febbraio) la Polizia Postale registra un aumento del 18% dei casi trattati che vedono vittima un minorenne (da 389 a 460 nel 2019), di cui 52 casi di bambini di età inferiore ai 9 anni. La fascia di età più colpita è quella 14/17 anni (309 vittime), mentre 99 vittime hanno tra 10 e 13 anni. Raddoppiano i casi di detenzione e diffusione di materiale pedopornografico. Se si esce dall’ufficialità della denuncia i numeri hanno un altro aspetto: secondo Terre des Hommes e ScuolaZoo sono 4 su 10 i ragazzi che hanno subìto atti di bullismo; 6 su 10 hanno assistito a fenomeni di violenza in rete e non; il cyberbullismo fa paura a quasi il 40% degli intervistati.
(da “Il sole 24 ore”, 6 febbraio 2020)
Se anche a voi questi numeri fanno paura, o se tra quei numeri a tratti vi riconoscete, sappiate che ci sono persone, là fuori, che sognano un mondo migliore, esattamente come voi, e che si impegnano ogni giorno per realizzarlo. E che magari sono pronti ad ascoltare.
CyberPenny 💘
Forte e deciso 👏
Grazie mille!
Complimenti Penny,un bellissimo articolo!
Pieno di informazioni utili,che smuovono le coscienze e soprattutto pieno di emozioni ♥️
Grazie per aver contribuito 🙏
Grazie di cuore, di nuovo! ❤
TUTTI ASSIEME IN CORO:
W PENNYYYYYYYY
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