Non so neanche se classificarlo come talent show. Signore e signori, oggi parliamo di cucina! Ne avrete sicuramente sentito parlare, ormai Masterchef è una pietra miliare della piattaforma di Sky, spunto interessante per chi ama i fornelli, intrattenimento leggero per tutti gli ignoranti in materia. Negli anni il format non è cambiato, eppure continua a colpire, a crescere, a reggere perfino il confronto con i talent show concorrenti. Al suo debutto erano previsti tre giudici, Carlo Cracco, Bruno Barbieri e Joe Bastianich, a cui si è aggiunto, dalla quinta stagione, Antonino Cannavacciuolo. Ad oggi, dopo la dipartita di Cracco e Bastianich, gli autori hanno deciso di ritornare alla formula originaria, con il trio composto da Babieri, Cannavacciuolo e il novellino Giorgio Locatelli, che riporta quel tocco britannico alla cucina di Masterchef. Ogni puntata segue lo stesso identico copione. Si parte dalle selezioni, che, come in qualsiasi talent show che si rispetti, alterna aspiranti cuochi di rilievo a imbranati clamorosi, riuscendo nell’ardua impresa di intrattenere anche dove non esiste ancora una gara. Dopo nove edizioni il clima si è alleggerito, ma un tempo le figure dei giudici erano portate all’estremo, rappresentate come maligne e intransigenti, lanciatrici di piatti e senza alcuna pietà. Funzionava, perché nessuno lo aveva mai proposto in televisione. Il massacro dei cuochi incapaci, chi aveva mai avuto l’ardire di farci un programma tv? Dopo le selezioni, una classe di venti aspiranti cuochi doveva affrontare una serie di prove, rimaste immutate da allora: la mistery box seguita dall’invention test, e la prova in esterna seguita dal pressure test. E’ come uno schema fisso, i quattro pilastri che lo spettatore si aspetta di ritrovare in ogni edizione. La mistery box consiste nel cucinare un piatto con gli ingredienti forniti dai giudici, è una prova di fantasia, inventiva, ma anche tecnica e abilità, al termine della quale il vincitore riceve un vantaggio per la prova successiva. L’invention test può spaziare da un polo all’altro dell’arte culinaria, dalla pasticceria alla carne, dalle erbe agli agrumi esotici, dalla cucina di coppia alla replica di un piatto stellato. E’ la prova in cui emergono le strategie, in cui il montaggio della puntata privilegia la competizione, in cui vediamo cuochi nel panico e cuochi che si destreggiano tra sifoni e planetarie. La prova in esterna prevede due brigate di lavoro, che devono cucinare per ristoranti, matrimoni, critici culinari, gruppi di pescatori, passanti, con qualsiasi clima e temperatura, sotto il sole cocente o sotto il diluvio, all’angolo della strada o in mezzo alla prateria, su una nave o in centro a Milano. E’ la prova in cui i cuochi si urlano addosso, in cui entrano in crisi anche solo nel pesare la pasta, in cui tutti vorrebbero essere il capo, tranne chi il capo lo è di diritto. E il pressure test? E’ l’ultima prova, quella dei grembiuli neri della vergogna, quella che la brigata perdente deve affrontare. E qui si vede tutto il sadismo degli chef e degli autori, che si inventano le sfide più dure e sanguinarie, dalla prova a staffetta alla cucina in sincrono con uno chef stellato, dalla spesa bendati ai piatti d’oltreoceano.
Ebbene, questo è Masterchef così come lo conosciamo. Ma come mai è così seguito? Come mai non risente della crisi dei talent show? Perché non ha neanche bisogno di reinventarsi? A questa e a molte altre domande, risponderei dicendo che un po’ se lo merita. Masterchef non ha avuto lo stesso andamento degli altri, anzi, si potrebbe dire che è migliorato di anno in anno, correggendo tutti quei piccoli errori che al pubblico non piacevano, restando fedele al format originale senza essere mai uguale a se stesso. I giudici crudeli iniziavano a stancare? Li hanno addolciti. I concorrenti non erano abbastanza bravi? Hanno iniziato a sceglierli più preparati. La prova di pasticceria con l’inflessibile Iginio Massari è piaciuta? L’hanno riproposta ogni anno. Tutti questi dettagli, tutti gli accorgimenti presi, non hanno fatto altro che amplificare l’apprezzamento dello spettatore, che non manca di notare i miglioramenti e si distrae da ciò che invece rimane uguale. Perfino le dinamiche della gara sono spesso simili. Ci sono i bravi cuochi, destinati ad arrivare in finale, quelli che non hanno problemi a cucinare plancton, katsuobushi, midollo di tonno o la mano di Buddha. Poi ci sono i cuochi mediocri, che il più delle volte sono personaggi semplici, autoironici, che facevano tutt’altro lavoro, e in cui lo spettatore si riconosce, con cui simpatizza, perché sono madri di famiglia, uomini single, ragazzini spaventati, gente che sogna di cambiare vita. Non manca quasi mai tra di loro una nonna o un nonno, con la propria cucina casalinga, alle prese con piastre e attrezzature strane, loro che rappresentano la voglia di vivere, la gioia, la capacità di mettersi in gioco nonostante l’età. E i giudici, per loro, hanno sempre un occhio di riguardo, perché la cucina dei nonni non sarà quel boccone carino al centro del piatto, non sarà il rotolino di spaghetti o il pezzettino di carne, ma in fondo è buona, e lo sanno anche gli chef stellati. Poi, la vera chiave di lettura del programma: il villain. Il cattivo della classe, quello che gode a vedere gli altri sbagliare, quello che commenta tutto e tutti, quello che non vede l’ora di mettere in difficoltà gli altri. Il magistrale lavoro di produzione, di taglio e di montaggio, serve esattamente a questo. A rendere il cattivo ancora più cattivo, a mettere in risalto i suoi giudizi, a inquadrare in primo piano ogni occhiataccia, a far intendere allo spettatore che quello è un personaggio da odiare. E non importa che sappia o meno cucinare, perché il villain non viene mai eliminato subito. Si tratta pur sempre di uno show, e i piatti che vediamo non li possiamo assaggiare, possiamo soltanto fidarci del giudizio altrui, ma non sempre le eliminazioni ci appaiono giuste, perché vorremmo punire l’antipatia, vorremmo premiare i buoni, ma dimentichiamo che quella di Masterchef nasce come gara di cucina. Certo, chi è meno personaggio degli altri viene scartato più in fretta, e spesso i pronostici vengono ribaltati, ma possiamo supporre che esista una bozza di copione da seguire. Non è un caso se in tanti nel programma si sono sentiti più attori inconsapevoli e meno cuochi. Quel che è certo, è che il villain dell’edizione non vince mai. Al massimo arriva secondo, odiato dal pubblico e dagli stessi concorrenti, un po’ perché ingestibile di suo, un po’ perché stuzzicato dai giudici stessi. Ma non vince mai, perché non può passare il messaggio che basti l’arroganza, la prepotenza, la totale mancanza di umiltà, quello che Masterchef vuole insegnare è che serve cultura, impegno e voglia di fare. A vincere sono spesso concorrenti bravi, dotati di tecniche, inventiva, passione, magari non sempre i cervellotici, non sempre gli alternativi che mischiano il dolce con il salato, o che mettono nel piatto spume e salsine fosforescenti. Magari vincono proprio quelli che hanno ancora da imparare, ma che rappresentano un esempio per tutti gli insoddisfatti dalla propria vita.
E che fine fanno i vincitori? Con centomila euro in gettoni d’oro e la possibilità di pubblicare il proprio libro di ricette, hanno un bell’incentivo a costruirsi un futuro. Spyros Theodoridis ha aperto un proprio ristorante e si è dedicato a diversi programmi di cucina. Tiziana Stefanelli ha fallito nella gestione del suo locale e si è dedicata a “La prova del cuoco” in veste di giudice. Federico Ferrero cura una rubrica sul quotidiano La Stampa e organizza incontri per parlare del cibo salutare. Stefano Callegaro, vincitore tra le polemiche e annunciato in anticipo da Striscia la Notizia, è diventato chef di punta dell’Hostaria Hospital di Rovigo, ma ancora oggi si indaga per capire se fosse davvero uno chef amatoriale ai tempi del suo trionfo. Erica Liverani, oltre ad aver trovato l’amore con l’altro finalista Lorenzo, oggi viaggia alla scoperta di cibi esotici ed è testimonial di alcuni prodotti culinari. Valerio Braschi, concorrente giovanissimo e appassionato, ha viaggiato in Asia e completato alcuni stage prima di aprire il proprio ristorante a Roma. Simone Scipione, altro giovane promettente, oggi guida un locale nella sua terra marchigiana a Civitanova. Valeria Raciti si è dedicata ai viaggi, per poi finire a collaborare con lo chef Giorgio Locatelli. E poi Antonio Lorenzon, fresco di vittoria, con il suo primo libro di ricette in uscita, e il sogno di aprire un ristorante in Costa Azzurra con suo marito. Qui finiscono i vincitori delle nove edizioni di Masterchef Italia, ma non finiscono le storie a lieto fine dei concorrenti, che nel programma hanno trovato l’occasione per cambiare vita. Chi si è reinventato come cuoco a domicilio, chi ha pubblicato libri, chi gestisce blog di cucina, chi organizza eventi e cooking show, chi è apparso in altri programmi televisivi, chi è riuscito ad aprire il proprio ristorante, chi ha continuato a studiare, chi viaggia alla ricerca di nuovi sapori, molti di quei concorrenti col grembiule bianco non hanno buttato via la propria passione. Qualcuno è stato anche notato dai giudici, richiesto in uno dei loro ristoranti stellati, per uno stage, per un contratto di qualche mese, o per una formazione più importante. Masterchef è una grande vetrina, un banco di prova per tanti aspiranti cuochi, che a volte non hanno abbastanza tecnica per arrivare in fondo al programma, ma che magari fuori riescono ad aprire un locale, a curare la propria cucina, a realizzare il sogno di una vita. Masterchef non è come un ristorante, Masterchef è una gara, che si gioca anche con furbizia e strategia, e non sempre chi viene eliminato per primo è un cuoco peggiore di tutti gli altri. Non è detto. Magari ha solo sbagliato un piatto, magari era una giornata storta, ma non conta il percorso, conta il singolo risultato della prova. Masterchef è cosi. E va vissuta soprattutto come una scuola. Una scuola di cucina, perché al di là della gara i concorrenti imparano, studiano, partecipano a corsi e lezioni che noi nemmeno vediamo. Ma anche una scuola di vita, perché si impara ad affrontare la competizione, gli sgambetti, le critiche dure, si impara a non piangersi addosso, a risolvere in fretta gli errori, ad andare avanti nonostante la tentazione di mollare. E se c’è un motivo per cui Masterchef è un appuntamento fisso, ogni anno all’altezza delle aspettative, è proprio questo. E’ intrattenimento, certo, che può piacere o non piacere, ma non è mai fine a se stesso. Questo è il suo valore, questa è la sua vittoria.
Non riesco a seguirlo ma mi piace, ho visto alcuni spezzoni su YouTube 😁
È già qualcosa 😆
Sìì! Ah intendevo che non riesco a seguirlo letteralmente, perché non ho sky disponibile xD sennò lo guarderei!
Aah! Non avevo capito hahah se vuoi ci sono in streaming online, se sei pratica 😄
Ahah xD Sì lo so! Ho cercato poco finora ma ho trovato solo la prima stagione… cercherò di più! Appena non ho serie belle so cosa vedere 😀
A me piace un sacco
Anche a me 😀
grazie mi è proprio piaciuto leggere il tuo punto di vista e soprattutto sapere che fine hanno fatto i vari concorrenti. A quanto pare non vince solo chi arriva prima, ma anche molti altri concorrenti e questo mi fa davvero piacere. Non lo seguo assiduamente e non capisco mai di quel stagione siano le puntate che vedo ogni tanto qua e là, però, ogni tanto mi soffermo a guardare e pur non amando i programmi di cucina mi affascina molto vedere come delle persone che fanno tutt’altro riescono a creare piatti super.
Quindi ancora grazie ^_^ buona serata
Grazie a te per aver letto il post! Io lo trovo godibilissimo, riconosci davvero la passione per quello che fanno, e se segui una stagione dall’inizio alla fine un po’ ti affezioni ai concorrenti 🙂
Non seguo Masterchef Italia, ma in passato ho seguito l’edizione australiana, che si concentra molto di più sullo svolgimento dei piatti.
E dura tantissime puntate. È più per appassionati di cucina e meno improntato sull’aspetto del “reality”
Me ne hanno parlato in tanti di quella australiana, io di cucina non ne so mezza quindi non so se mi ci ritroverei 😅 però sicuramente nella versione italiana del reality c’è
A me piace un sacco e quelli bravi trovano la loro strada anche se non sono arrivati fino alla fine.
Esatto, alla fine anche se noi non ce ne accorgiamo migliorano tanto
Lo guardiamo anche noi, specialmente il figlio che ne rivede anche le repliche più volte.
Dopo anni ed anni, e centinaia di puntate, ora anche lui ha imparato qualcosa: sa farsi in perfetta autonomia il panino con la Nutella.
Ottimo per la sopravvivenza! 😂
non l’ho mai visto …
Non tutti lo vedono 🙂
Io non faccio testo, sono pigra con la tv
ho visto praticamente tutte le edizioni tranne la seconda e mi ritrovo moltissimo con il tuo punto di vista, credo che hai citato i motivi per cui nonostante una certa staticità continui a mantenere il suo seguito di fedeli… 🙂
Grazie mille! Penso che meritasse una menzione, è un bel programma 🙂