Oggi è la giornata mondiale contro il bullismo. E mi sembra quasi un paradosso celebrarla qui, in questo mondo virtuale che tante volte è un covo di violenza, di rabbia, di cattiveria, dove le parole fanno più male di un pugno, dove tutto può circolare senza confini. Ma che cos’è il bullismo? Ne esiste una definizione? Si può riassumere parlando soltanto di cattiveria, prepotenza, mancata educazione? C’è sempre una ragione dietro un comportamento, che sia giusto o sbagliato. Soltanto i folli agiscono senza un motivo, ma i bulli non sono folli, il più delle volte sono incoscienti, ignoranti, incapaci di pensare alle conseguenze dei propri gesti. Il bullismo è difficile da combattere, è una forma di violenza perversa, che rimane spesso nell’ombra, che si nutre della paura, che spesso comincia come uno scherzo, ma poi si spinge oltre, oltre i confini del giusto, oltre la dignità umana. So cosa vuol dire essere vittime di bullismo. Ho provato sulla mia pelle le prese in giro, la derisione, le offese, in quell’età in cui non sei più bambino ma non sei nemmeno un ragazzo, e ti spaventa tutto, pensi di essere tu quello sbagliato, e ci stai male. So cosa vuol dire, l’ho visto negli occhi di altre persone, fragili, come me, incapaci anche solo di alzare la testa, di guardare i bulli negli occhi, perché è questo che avrebbero meritato. Soltanto uno sguardo. E so quanto ci si sta male, tornare a casa e ripensarci per ore, arrivare a credere di aver fatto qualcosa di male, sentirsi in colpa per non essere riusciti a reagire. Conosco quella sensazione, come se il mondo pesasse tutto su una spalla sola, come se raccontarlo lo rendesse quasi più reale, e allora si preferisce tacere, affrontare tutto in silenzio, da soli, perché il solo pensiero di riaprire una vecchia ferita ci fa paura. Ecco, io conosco tutto questo. L’ho visto, l’ho vissuto. Ma oggi i tempi sono cambiati, i giovani sono nativi digitali, conoscono internet fin da bambini, hanno accesso ad un mondo sconfinato e privo di regole, ed è qui che il bullismo diventa ancora più spietato. Non è più soltanto una presa in giro, una spinta davanti ai compagni, un sorriso di scherno, oggi i bulli possono agire senza un volto, muovendo le dita sulla tastiera di un computer, e per assurdo è proprio questo che fa più male, la parola scritta, la parola che non si cancella. Lo chiamano cyberbullismo. Il bullismo dei social network, che in silenzio riesce a fare tanto rumore. A volte sono minacce, a volte sono insulti, altre volte sono foto e video rubati, e tutto può essere fatto circolare, tutto può essere reso pubblico. Non è facile per nessuno. Non puoi nemmeno guardare negli occhi il tuo aggressore, perché è soltanto un nome, una foto senza spessore, non puoi spingerlo via, perché le sue parole restano, nero su bianco, e non puoi nemmeno scappare, perché tutto rimane fermo, ad aspettare soltanto il tuo ritorno. Il bullismo e il cyberbullismo dovrebbero essere un reato. Ma ancora oggi è difficile imporre una legge ad un mondo che per troppo tempo si è regolato da solo. Forse non è questione di punizioni, forse bisognerebbe semplicemente parlarne di più. Ragazzini, adulti, tutti potremmo essere le prossime vittime, perché siamo tutti un po’ fragili, perché abbiamo tutti una debolezza, e perché a volte la gente vuole soltanto sentirsi più forte, schiacciando chi è forte davvero. E’ questo che non dobbiamo dimenticare: che siamo forti, più di quanto possiamo immaginare. Siamo forti perché non abbiamo bisogno di confrontarci con gli altri, siamo forti perché abbiamo il coraggio di parlare, siamo forti perché abbiamo conosciuto il dolore, siamo forti siamo forti quando ci alziamo da soli, siamo forti quando chiediamo aiuto, e siamo forti quando l’aiuto lo offriamo agli altri, anche senza che ci venga richiesto. La forza è questa, ed è l’arma più importante per vincere questa battaglia. I bulli non sanno cosa sia la forza, si illudono di possederla, perché vedono nelle nostre lacrime una sconfitta, nella nostra richiesta di aiuto un’arresa, ma probabilmente la loro è soltanto paura. Paura delle persone, paura dei sentimenti, paura del diverso, paura di fallire, paura di essere inferiori, paura di non sapersi difendere, paura di crollare, paura di essere vittime, paura del dolore. Hanno paura di quello che leggono negli occhi degli altri, perché nessuno ha spiegato loro che quella è la vera forza. A volte si cresce con dei valori sbagliati, altre volte semplicemente si segue un branco, e si diventa complici di una battaglia contro sè stessi. Quello che possiamo fare è soltanto parlare. Parlare con le vittime, ma parlare anche con i carnefici. Spiegare loro che le parole hanno un peso, mostrare loro la sofferenza di chi hanno ferito, aiutarli a crescere, a capire i veri valori, a coltivare i sogni, a sfogare la rabbia in un altro modo, a cancellare l’odio dalle proprie vite. Pensate sia stupido? Una perdita di tempo? È il dialogo che risolve i conflitti. Un bullo non è un folle, non è irrecuperabile, non è uno scarto della società. E se riceve disprezzo, imparerà soltanto a disprezzare. Se riceve botte, imparerà soltanto a picchiare. Ma se riceve parole, forse un giorno imparerà a parlare, e riuscirà a capire che la vera forza non sta nel pugno, o nelle dita nascoste dietro uno schermo, la vera forza sta nello sguardo, e nel riuscire ad alzare la testa, piangere, e magari anche chiedere aiuto, perché la cosa che più desideriamo, in fondo, è soltanto vivere.
Oggi è la giornata mondiale contro il bullismo, e non vi chiedo altro se non di parlare. Non sapete quanta differenza possano fare le parole. Non il silenzio, non uno schiaffo, ma parole. Parole di conforto, di comprensione, di aiuto. Parole sincere, semplici, spontanee. E ricordare sempre che il primo passo per risolvere un problema è ammettere di avere un problema.
Anche per me e’ stato così. Il bullismo si manifestò’ in quel buco nero che si chiama Scuola Media nel sistema scolastico italiano. Tre anni che già di per se (per come si non concepiti) senza bullismo sono un’enorme e colossale perdita di tempo. Per i più sensibili, si possono facilmente trasformare in tre anni di naja vecchio stile (per fortuna mi sono almeno risparmiato un altro anno da regalare allo stato di completa perdita di tempo e di senso, il servizio militare non l’ho fatto). Scusa la sfogo Penny.
Le scuole medie ho constatato che sono un periodo nero un po’ per tutti, ne avevo già parlato tempo fa raccontando la mia esperienza… sono tre anni che andrebbero gestiti a dovere, con un controllo maggiore da parte della scuola ma anche dei genitori
Ne parlo, promesso. Purtroppo mi è sfuggita la giornata
Non è importante la giornata, anzi, sarebbe bello ricordarsene tutti i giorni, parlane quando ti senti :))