In famiglia abbiamo tutti gusti diversi, la sera si discute per decidere che cosa guardare in TV, ma c’è una cosa che mette incredibilmente d’accordo tutti: le serie crime francesi. “Profiling” non è la prima e non sarà l’ultima che abbiamo seguito dall’inizio alla fine, ma credo abbia tanti meriti. Le ormai nove stagioni andate in onda hanno visto i personaggi cambiare, crescere, maturare, hanno rivelato episodio dopo episodio dettagli del loro passato e dato spiegazione ad ogni comportamento e caratteristica del carattere, niente è lasciato al caso, nemmeno i più piccoli dettagli di ogni storia. Durante il primo episodio in assoluto conosciamo uno dei personaggi che è stato colonna portante per sei stagioni, Chloé Saint-Laurent, criminologa eccentrica e da una personalità tanto complessa quanto magnetica. E’ un dei personaggi più inconfondibili mai visti prima, sarà per i capelli rossi, per l’abbigliamento stravagante e colorato, per la borsa giallo canarino da cui non si libera mai, sarà per il suo portamento sgraziato e un po’ infantile, per le sue espressioni imperscrutabili, per il suo modo introspettivo di analizzare ogni crimine. Chloé è IL personaggio per eccellenza, colei che traina la serie per ben sei stagioni e che si svela a piccoli passi come un libro da studiare. Il suo vissuto è una macchia che si porta dentro e che ancora non riesce ad affrontare, vive celato dentro di lei, e i suoi segreti vengono ben custoditi dal regista, quasi fosse suo complice. Chloé non ha avuto un’infanzia facile o felice come tutte le altre, suo padre è stato rinchiuso in un ospedale psichiatrico, sua madre è scomparsa lasciandole in corpo un senso di colpa che non riesce a guarire, le cicatrici nascoste la fanno sprofondare nella schizofrenia, ma davanti a sé ha tutti i pezzi della propria vita da ricomporre. La squadra di polizia con cui collabora sarà una delle sue ancore di salvezza, e la peculiarità che la caratterizza è proprio l’essere costantemente sopra le righe, una squadra irrealizzabile quando invidiabile, in cui tutti hanno un passato che vorrebbero cancellare. Fred era un’alcolista, Hippolyte era un hacker informatico, Thomas Rocher era un uomo tormentato dalla morte della moglie rimasta impunita. Ognuno combatte nel proprio piccolo non solo per la sicurezza della città ma anche per sé stesso, nel tentativo di poter guardare in faccia gli scheletri negli armadi e costruire le basi per una vita felice. Chloé cresce, cambia, affronta la malattia, una prima relazione, il ruolo di madre. All’inizio della prima stagione è una ragazza turbata, instabile, insicura, piena di paure e con il solo scopo di celare le proprie sofferenze dietro il lavoro. Ma alla fine della sesta stagione è una donna, madre di una bambina, che ha il coraggio di lasciarsi tutto alle spalle e partire verso il futuro che la attende. Iconico è il momento in cui si libera della borsa gialla che per più di settanta puntate ha portato con sé, e la lascia ad un personaggio nuovo, una criminologa che nessuno spettatore avrebbe mai ritenuto all’altezza di Chloé Saint-Laurent.
La settima stagione segna uno spartiacque nella serie, una delle poche ad aver avuto il coraggio di ripartire da zero, eliminando una colonna portante e sostituendola con Adele Delettre. Adele è un personaggio che o lo ami o lo odi, non credo esistano vie di mezzo. Vive ai margini della società, inghiottita dal trauma del rapimento che ha subito da bambina, con sua sorella Camille, e da cui è riuscita miracolosamente a fuggire. Gli anni di segregazione l’hanno portata a isolarsi, a non sapersi rapportare con il prossimo, a non riuscire a rispettare le regole della convivenza civile, eppure, come Chloé, riesce a visualizzare nella sua mente i profili dei peggiori assassini. Lavora come criminologa, ma è innegabile che qualcosa sia cambiato, gli equilibri siano mutati, lo stile sia divenuto altro. E non è con nostalgia che lo affermo. Adele non avrebbe mai potuto sostituire un personaggio storico come Chloé, il suo carattere impulsivo e irruento la rende meno psicologa e più poliziotta, trasformando una serie che si basava sui momenti riflessivi in una fondata sull’azione. Era un’evoluzione necessaria, che butta in pentola numerosi spunti per analizzare il nuovo personaggio, cogliendoli uno alla volta e mescolandoli ai crimini quotidiani. La matassa si svolge, e Adele riceve una caratterizzazione perfetta episodio dopo episodio, riuscendo a chiudere ogni conto aperto con il proprio passato e con il rapitore che le ha distrutto l’infanzia dei suoi otto anni. Proprio “Argo”, che non ha dimenticato la fuga traditrice di Adele ed è al tempo stesso rimasto impunito, sarà in realtà il regista delle tre stagioni successive, e il vero antagonista contro cui combattere. Adele rivivrà assieme allo spettatore il trauma vissuto da piccola, dando spiegazione del suo carattere duro, misterioso, protettivo verso i propri sentimenti, e della sua incapacità a legarsi alle persone. Con la svolta della settima stagione si susseguono i colpi di scena, i finali aperti, gli scontri diretti con i cattivi, gli episodi diventano tra sé inscindibilmente collegati, e la dinamica stessa della serie risulta una novità completa. Ha funzionato, perché il personaggio di Adele riesce a coinvolgere, a suscitare empatia, a emozionare quando rivela pagine oscure del suo vissuto, a saltare sul divano quando si mette in pericolo per il suo essere dannatamente testarda. E’ un personaggio che funziona per le sue mille sfaccettature, riuscendo a rendere giustizia ad una serie tv nata con Chloé Saint-Laurent e rimasta priva di lei stessa.
Non è da tutti riuscire a far quadrare il filo della storia quando un personaggio forte come Chloé viene meno. Ma consiglio questa serie tv dalla prima all’ultima stagione, complimenti vivissimi agli autori.