Tropea: il potenziale c’è… ma non si applica

Io sono amante del mare, il mare bello, quello limpido e pulito, anche incontaminato, senza spiagge attrezzate o campi di pallavolo. Sono amante della pace, del silenzio, della tranquillità, del solo rumore della risacca sul bagnasciuga. Ho viaggiato molto, ho visto il mare della Romagna, del Salento, della Sicilia, della Grecia, della Spagna, e infine sono piombata in Calabria, terra natia di mio zio e di una mia cara amica. Tropea, meta turistica per eccellenza e marchio delle sue famose cipolle rosse. Mi aspettavo una grande città, ben tenuta, ricca, piena di villoni e palazzi, moderna. E per mia fortuna, sono rimasta completamente spiazzata. A strapiombo sul mare, Tropea è una piccola cittadina, non troppo nuova e nemmeno perfettamente tenuta, con palazzine a tratti fatiscenti, viuzze strette, piazzette nascoste, vicoli che conducono al belvedere sul mare. Una cittadina a misura d’uomo, dove sei costretto a dimenticarti dell’auto, perché conviene sempre muoversi a piedi. Una cittadina di quelle che piacciono a me, semplici, che non ostentano niente, che ti accolgono con del buon cibo e un sorriso. Certo, potrebbe essere più pulita, più organizzata, meno caotica sulla via principale. Ma fanno la raccolta differenziata, il centro è quasi interdetto al traffico, e basta spostarsi di poco per trovare angoli tranquilli e bellissimi.Da un paio di anni ero abituata alle vacanze itineranti, a viaggiare sempre con la valigia fatta, a cambiare città e letto ogni sera. Quest’anno no. Quest’anno abbiamo deciso di fermarci, riposarci per una decina di giorni al mare, io e i miei genitori soltanto, tutti di ritorno da una vacanza diversa, loro dalla montagna e io da un viaggio con le amiche. Abbiamo soggiornato presso l’hotel La Perla, prenotato online da perfetti turisti fai da te. Ve ne cito il nome perché di Tropea alla fin fine ho visto poco, ma gran parte di questo poco è ad esso collegato. Innanzitutto, il mare. Un mare splendido, limpido, trasparente, una piscina naturale, brillante alla luce del sole, con un fondale roccioso e sabbioso insieme, pieno di vita animale a portata d’uomo, pesciolini in superficie, murene tra gli scogli, delfini al largo della costa. Un mare bellissimo sempre. Bellissimo vicino alla riva, preso d’assalto dai turisti nei pochi centimetri di acqua bassa. Bellissimo a Capo Vaticano, turchese e solitario, costellato di baie isolate e grotte nascoste. Bellissimo perfino nel tragitto fino alle isole Eolie, visitate di fretta e in giornata, giusto il tempo di un arancino, un cannolo e un tramonto mozzafiato sul mediterraneo. È un mare che meriterebbe pagine di lodi infinite, nonostante un bicchiere di plastica, qualche vecchio contenitore e un paio di cottonfioc gettati al largo. Non ha colpe, il mare. Lui è bellissimo comunque.Forse qualche colpa ce l’hanno i lidi attrezzati, chiamati così ma sporchi e mal gestiti, dove i bagnini si bevono una birra al bar, dove i pattini di salvataggio sono pressoché inaccessibili, dove vige bandiera bianca anche quando nessuno controlla i bagnanti. E dove sotto gli ombrelloni emergono dalla sabbia tazzine del caffè di ceramica, cartacce, mozziconi di sigarette. È stata un’impresa riuscire a capire il prezzo degli ombrelloni, stabilito a seconda di quale ragazza fosse presente in reception la mattina, del suo umore e dell’inventiva dei responsabili del lido. Non abbiamo mai pagato la stessa cifra. Beh, per lo meno era intrigante, avviarsi verso la hall dell’albergo e domandarsi quanto avremmo pagato, e se avremmo ottenuto due sdrai, tre sdrai, un lettino e uno sdraio, o altre curiose varianti; poi dirigersi in spiaggia e chiedersi quanto avremmo dovuto pagare per ottenere almeno due lettini. Bello, no? Che poi tante storie, ma una delle cause era proprio l’indicibile scomodità degli sdrai, duri e sistemati in pendenza, da colpo della strega assicurato. Insomma, ci vuole pazienza. Pazienza e determinazione. Mio padre si è lamentato con chiunque gli capitasse a tiro, due ragazze della reception, una ragazza del bar della spiaggia, il bagnino, il tuttofare del lido. E ha funzionato. Un giro di telefonate e il prezzo si è abbassato. Attenzione: non stabilizzato, ma abbassato sì. Certo è che dopo aver raggiunto il picco di ben 36 euro per un ombrellone in ultima fila e in salita, la situazione poteva solo migliorare. Non che al bar del lido andasse meglio, anche qui ha regnato la confusione per tutta la durata della vacanza: il costo del coperto è cambiato spesso, oscillando tra un euro e mezzo, cinquanta centesimi e zero. E non dipendeva certo dai bicchieri di vetro o di plastica che comparivano e scomparivano senza ragione. Anche le camere dell’albergo erano abbastanza caotiche, enormi al loro interno ma prive di arredamento, abbiamo convissuto in tre con due soli cassetti e qualche gruccia, un televisore con tubo catodico, due sole prese elettriche ricavate staccando le abat jour, una ventola sul soffitto che ronzava come un aliante, nessuna cassaforte o frigobar, e un piccolo bagno con delle tubature rumorose e fischianti come un tagliaerba.Eppure bisogna prendere il buono delle cose. Altrimenti come potremmo vivere? E vi dirò che probabilmente dietro tutto questo caos c’era qualcosa di troppo grande da poter spiegare, qualcosa che aveva il volto di un omone non ben identificato, che un giorno ci ha intimato brutalmente “voi qui non ci dovete stare!”, solo perché avevamo pagato per un lettino in più. Un uomo serissimo che non aveva un ruolo ma comandava tutti, dai camerieri al bagnino fino addirittura ai clienti stessi. Un uomo che le ragazze della reception non sapevano neanche chi fosse.Ma vi dicevo, il buono delle cose. Primo tra tutti, la cordialità delle persone del posto, tanti giovani e giovanissimi al lavoro, sempre con il sorriso, dediti al proprio lavoro, che sia quello di servire ai tavoli, pulire le stanze o accogliere i clienti. La gentilezza e la cura per le piccole cose, le lotte quotidiane che vanno contro il loro stesso interesse, perchè sarebbe più facile stare in silenzio e lasciare che il cliente parli al vento, ma non lo fanno. Ascoltano, eccome. Ascoltano anche se possono fare poco. E quel poco lo fanno davvero. In fondo basta smettere di concentrarsi sugli errori e provare ad apprezzare anche il resto, quei gesti gratuiti che ti strappano un sorriso e ti fanno sentire più a casa. Come il sacchetto della colazione offerto il giorno della partenza, i consigli su dove cenare in tranquillità, il continuo informarsi se ci fossero problemi. Perfino nei vari ristoranti in cui abbiamo mangiato ho ritrovato queste attenzioni. Tanti giovani locali attenti a tutto, la candela da accendere sul tavolo, le quasi insistenti domande “Tutto bene?”, l’amaro del Capo offerto a fine pasto, lo apprezzi ancora di più perché sembrano usciti da scuola il giorno prima, e molti vivono e vivranno di questo. Dei turisti in estate. Non c’è molto altro a Tropea. Il mare e il buon cibo.È sufficiente? Non posso rispondere al loro posto, ma quello che ho visto è una realtà che mi ha accolta, sì, ma non mi ha mai fatto sentire parte di niente. Ed è un peccato, perché basterebbe far funzionare meglio le cose. Il potenziale c’è, i luoghi sono splendidi, le vedute meravigliose, gran parte delle persone sono oneste, gentili e accoglienti. È stata una vacanza che mi ha lasciata un po’ con l’amaro in bocca, perché mi aspettavo qualcosa di totalmente diverso. Siamo stati trattati benissimo, dovunque andassimo c’era una bella parola, un sorriso, un racconto di vita quotidiana, un consiglio su cosa visitare, ed anche la curiosità di sapere chi fossimo, da dove arrivassimo, se ci stessimo trovando bene. È quasi una cura ossessiva del turista, eppure qualcosa manca. Un sistema funzionante. Un meccanismo che non si incastri su se stesso. Il coraggio, o la piena di volontà di cambiare. Io posso solo augurare loro di trovarla, perché vedo l’impegno di chi ci tiene davvero, ma forse non tutti ci riescono, offuscati da tutto ciò che non funziona. Ed è un grande peccato.Una bella vacanza e una bella esperienza, che nonostante tutto mi sento di consigliare. Non è stato un viaggio itinerante, è vero, ma ho conosciuto una realtà certamente diversa dalla mia, emiliana di nascita e considerata nordica, e porto a casa, oltre ad una bottiglia di amaro del Capo, una confezione di ‘nduja e un sugo alla cipolla di Tropea, un po’ di conoscenza in più. Fa sempre piacere.

9 pensieri su “Tropea: il potenziale c’è… ma non si applica

  1. Il sud è così. Difficilmente troverai l’organizzazione perfetta, ma troverai sempre quel qualcosa di particolare che la compenserà

  2. Io in Calabria sono stato a Paola, più a Nord di Tropea. Molti elementi descrittivi tuttavia accomunano i due paese, per la loro bellezza e per una certa “trascuratezza” (forse non è il termine più adatto) che le rende alla mano e meno pretenziose, pur rimanendo bellissime.

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