Lettera al padre, Kafka

E’ un Kafka intimo, diretto, quasi colloquiale, nonostante il tono freddo e ricercato. Una lettera di quarantacinque pagine manoscritte, in cui lo scrittore trentaseienne si rivolge al padre per spiegargli l’origine della paura nei suoi confronti. Dall’infanzia difficile all’educazione dura, dalle minacce alle grida, dalle regole che vede imposte solo a sé stesso alla madre che non lo protegge, Kafka compie un’analisi completa della storia della propria vita, individuando nella figura paterna una colpa. Colpa per il carattere fragile, per la mancanza di autostima, per l’intima confusione sulla religione, per la balbuzia infantile, per l’incapacità di seguire i suoi passi nel lavoro. Una colpa che fatica ad affermare perfino con sé stesso. Il bambino che era ha assorbito l’immagine della figura potente e minacciosa, del padre padrone e modello da seguire, ingurgitando senza difendersi gli anni di soprusi verbali e di mancanze di slanci d’affetto. Kafka ammette di non aver mai superato quella paura che aveva da bambino, davanti alla quale ha imparato a tacere come uno schiavo, esserino fragile e compromesso davanti al corpo maestoso del padre. Non ha mai cercato uno scontro con lui: solo approvazione. Un’approvazione che non ha mai ricevuto nemmeno per i suoi romanzi che si riservava di portargli a casa. E’ una lettera triste, intrisa di un rancore ormai lontano, e di un tentativo impossibile di recuperare un legame. Ma Kafka non vede speranza. La lettera è un tirar le somme della propria vita, pur involontariamente condizionata da un padre tiranno e invincibile. In ogni sua decisione rivede il sé stesso bambino, rimproverato per aver mangiato lentamente, o chiuso sul ballatoio al freddo per aver chiesto un bicchiere d’acqua di notte. E allora ha paura. Ha paura nel lavorare, ha paura nel legarsi agli altri, ha paura per la sua salute, ha paura del matrimonio. La lettera è solo il punto finale di una vita che non è riuscito a vivere. I rimproveri del padre sono stati sostituiti dai rimproveri della sua mente, giudice severissimo, che prima di morire chiede che le proprie opere inedite vengano bruciate. Kafka è un uomo fragile, segnato da un’infanzia muta e da un sistema educativo fatto di minacce e umiliazioni, è un uomo che non ha fiducia in sé stesso né fede nel futuro, un uomo che non sa come possa essere condotta la propria esistenza. Con la sua sincerità e con i suoi sentimenti ancora vivi, riporta un leggero e malinconico ricordo di quando il piccolo Franz Kafka vedeva in suo padre il Tutto, e lo trovava sempre più irraggiungibile anno dopo anno, confronto dopo confronto. In un solo paragrafo brevissimo gli sfugge la penna, e i due personaggi maschili si lasciano andare ad un momento di tenerezza assoluta.

Fortunatamente c’erano anche eccezioni, soprattutto quando tu soffrivi in silenzio e amore e bontà, con la loro forza, superavano ogni ostacolo e ti afferravano direttamente. Era raro, purtroppo, ma meraviglioso. Ad esempio quando, nelle estati più calde, subito dopo pranzo ti vedevo addormentarti in negozio, col gomito sullo scrittoio; o quando la Domenica, affaticato, venivi a goderti con noi la frescura estiva; o quando in occasione di una grave malattia della mamma ti reggevi tremante di pianto alla libreria; o quando durante la mia ultima malattia ti sei avvicinato pian piano a me, nella camera di Ottla, sei rimasto sulla soglia allungando soltanto il collo per vedermi nel letto, e per riguardo ti sei limitato a salutarmi con la mano. In tali occasioni ci si coricava e si piangeva per la felicità, e si piange anche ora che si scrive.

Ma la vita passata ha segnato Kafka, il suo carattere inconsistente, le sue paure, le sue opere e il suo scrivere, rendendolo il genio tutto da comprendere che ci ha lasciato titoli come “Il processo”, “Il castello”, “La metamorfosi”.

Nella conclusione della lettera, Kafka coglie la mente del padre sostituendosi ad essa, e si rivolge spontaneamente le accuse che crede di meritare in risposta. E’ il bambino che tace, immaginando già il rimprovero del genitore. E’ quello che i bambini raccolgono, durante gli anni della propria crescita. E’ l’importanza di ciò che assorbono, perché concorre a scrivere il loro futuro.

Ma la lettera non fu mai spedita.

11 pensieri su “Lettera al padre, Kafka

  1. L’ho letto anni fa, c’è odio e amore, c’è il dolore di un rapporto conflittuale, di incomunicabilità.
    C’è il dolore di un figlio per un padre che non ha accettato le debolezze figlio.
    Non c’è da dimenticare la fragilità e l’introversione dello scrittore.

  2. Pingback: Lettera al padre, Kafka — Ilmondodelleparole | l'eta' della innocenza

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