I, Tonya è un film che non so definire in altro modo che non sia particolare. Un film che racconta la vita di Tonya Harding, pattinatrice, colpevole o vittima di uno scandalo, costretta a rinunciare al suo sport e divenuta tiratrice di boxe. Sono sincera, non sapevo niente di lei. Non ero ancora nata, e l’oblio mediatico l’ha cancellata dalle menti troppo in fretta. Tonya è rappresentata come la classica ragazza rozza, spiantata, ribelle, anticonvenzionale, con un padre che presto lascia la casa, una madre rude e violenta che la mortifica, un fidanzato che non perde occasione per picchiarla e minacciarla. Lei non ha niente, non ha un’istruzione, non ha un altro futuro possibile, lei ha solo il pattinaggio, lo sport in cui ha investito tutta la sua vita. Sembra una storia commovente di riscatto sociale, una storia in cui lo spettatore fa il tifo per Tonya, nonostante i suoi costumi siano tutti artigianali, nonostante la musica che porti in gara sia rumorosa e ritmata, nonostante abbia un carattere impulsivo e a volte crudo con tutti gli altri. La verità è che allora il pubblico amava Tonya, prodigio del pattinaggio, una delle poche a portare in gara il triplo axel, il salto più temuto e più difficile. Il pubblico la amava perché le telecamere riprendevano una ragazza che nello sport dava tutto ciò che aveva, che si arrangiava con i pochi mezzi a disposizione, che non ha mai creduto in sé stessa perché le hanno sempre detto quanto fosse sbagliata. Quando quel pubblico ama una persona, significa tutto. Tonya lo meritava, era brava davvero, e su quella pista non contava la sua famiglia spezzata come un puzzle disperso, non contavano i capelli un po’ arruffati, non contava l’abito rosa cucito in casa. Ma quando la sua vita ha cominciato ad entrare sulla pista con lei, le cose sono cambiate. I litigi domestici, gli interventi della polizia, l’ordinanza restrittiva, la fuga dall’uomo che aveva sposato giovanissima, l’assenza della madre, il lavoro da cameriera fanno precipitare i suoi sogni in un incubo: il quarto posto, quello che ti lascia fuori da tutto, ma proprio lì sotto al podio, con il naso sotto le medaglie che non hai ricevuto. Non era l’immagine che la gente voleva di questo sport. Tonya è un mito che crolla in fretta, e non è colpa dei lacci dei pattini, della lama attaccata storta o dei problemi di asma, la colpa è di quella vita che le pesava addosso, e di cui non riusciva più a liberarsi. Tutto precipita fino al 6 gennaio 1994. E’ il giorno dell’aggressione ai danni di Nancy Kerrigan, sua rivale e successore, più elegante e più raffinata di lei. Fu l’aggressione più sciocca che si potesse compiere, un gesto disperato di un marito inetto, di un suo amico visionario convinto di essere un esperto di spionaggio, e di un sicario che anziché nascondersi ha effettuato un pagamento con carta Visa. Fu un’aggressione di condanna per tutti. Paradossalmente fu l’aggressione che ruppe gli equilibri forzati del mondo di Tonya, quel continuo essere in corsa dietro i punteggi che i giudici non le assegnavano, perché non aveva alle spalle una famiglia tradizionale, quel suo continuo pattinare perché non conosceva altro, sotto lo sguardo critico di una madre che non le ha mai detto nemmeno “Brava”. Il marito Jeff la consegnò alla polizia, ai media, alle telecamere tritacarne, e poi al giudice, che la costrinse a ritirarsi per sempre dal pattinaggio, il suo sport, perché persona non gradita. Nessuno ha mai capito il ruolo di Tonya nella vicenda, e il film incastra questo controbattere, queste idee contrastanti, lasciando parlare in prima persona Tonya e Jeff, a voci sovrapposte come in un coro, e concedendo allo spettatore di scegliere la versione a cui credere. C’è chi dice che dovessero essere soltanto lettere minatorie, minacce di morte per spaventare, c’è chi dice che fosse tutto premeditato, c’è chi sostiene che l’idea fosse di Tonya, chi dice che fosse di Jeff, chi ancora dice che fosse dell’amico pazzo assetato di fama. Una vicenda controversa che ha ribaltato la vita di Tonya togliendole l’essenza di ogni sua giornata.
Significa che non potrò più pattinare? Quindi non… senta, preferisco andare in prigione, la prego. […] Vostro Onore, io non ho un’istruzione, so solo pattinare, solo questo. E non sono niente se non posso… […] Voglio solo fare del mio meglio con quello che so fare, così è come se mi stesse dando l’ergastolo
(Tonya)
Tonya non avrebbe mai pensato alle minacce di morte, e… io ero talmente accecato da tutte quelle cose terribili che diceva di me che non ho considerato che le avevo rovinato la carriera. Gliel’ho proprio rovinata.
(Jeff)
Quello che il film più mette in luce è proprio il mondo che Tonya si porta dietro dall’infanzia, convinta sin da bambina a meritare le botte e gli insulti, spinta da un carattere poco femminile a rispondere, a picchiare, a minacciare, a imbracciare anche un fucile. Tonya cattura tutta l’attenzione, perché non è la principessa sui pattini, vestita di pizzo e di tulle, non è aggraziata come un cigno, non è ricca. Tonya serve ai tavoli, fuma sigarette, adora riparare i motori delle auto, sa sparare, dice parolacce. Il suo rapportarsi con il mondo è quasi grottesco, rassegnato e incorruttibile, rappresentato da scene tragicomiche che ci lasciano sorrisi amari. E’ la dimostrazione che lo spettatore non può capire la vita di Tonya, non può entrarvi, non può cercarla nelle sue coreografie, non può giudicarla per questo. Il film sembra mettere in scena una narrazione senza opinioni, sembra prendere i fatti plasmati dalla bocca di Tonya e da quella di Jeff, e metterli davanti ai nostri occhi, nonostante le versioni siano spesso spesso opposte. Nel loro matrimonio c’erano tante bugie, tante omissioni, tante vendette reciproche, ma nonostante questo non sono mai riusciti a lasciarsi andare l’un l’altra, fino a quel 6 gennaio 1994. In quel giorno, ha trionfato una sola versione, ma il film lascia aperte tutte le strade che negli anni la gente ha percorso, e in cui ha iniziato a credere.
La vita di Tonya è cambiata. Ha lasciato il pattinaggio, ha provato con la boxe, ha fatto parte del cast di un film, ha registrato un disco, si è risposata, è divenuta mamma, ed ora disegna giardini. Un nuovo capitolo di un nuovo romanzo, che porterà sempre con sé il ricordo dei tempi in cui era amata, e volteggiava nel suo triplo axel con una tecnica ed una passione straordinarie.
L’America… Sapete, il pubblico vuole qualcuno da amare, ma anche qualcuno da odiare. E vuole che sia facile odiarlo. E come può esserlo? Quelli che mi odiano mi dicono sempre “Tonya, racconta la verità”. Non esiste una cosa chiamata verità, è una stronzata. Ognuno ha la sua verità, e la vita fa sempre quel cazzo che le pare. Questa è la storia della mia vita, ed è l’unica cazzo di verità.
(Tonya)
Oltre ad essere la storia della breve e tormentata carriera di Tonya Harding, questo film è la storia del pubblico. Un pubblico che non perdona, un pubblico che si schiera, un pubblico che decide della vita dei personaggi, come se potesse manovrare delle marionette, un pubblico che non fa sconti e non torna sui propri passi quasi mai. E’ successo a Tonya, e a tante altre persone con un sogno, distrutte da un’opinione negativa che ti chiude inevitabilmente tutte le porte. Ma quando non hai nient’altro, quando nella vita hai fatto sempre e solo questo, e quando è il pubblico a dirti che tu non vai più bene, che devi sparire… ecco, è questa la macchina più spietata, dolorosa e violenta. Perché il pubblico ti dipinge senza conoscerti, ti ha in mente senza sapere quasi niente di te, ma è in grado di mangiarti vivo e privarti di tutto. Anche di quello che non sapevano tu avessi. Non ci pensiamo mai? La televisione, le interviste, le fotografie. Sono questo. Sono quell’aratro che spiana la strada, ma che potrebbe improvvisamente impazzire e farti a pezzi.
Io invece la storia me la ricordavo (ehh… l’età!), a quel tempo fece davvero scalpore. Io l’ho sempre vista come colpevole, e credo non ci siano nemmeno dubbi su questo aspetto. Poi non so quanto sia stato romanzato il film, ma la sua figura non ne è uscita bene.
Guardando il film io mi sono fatta l’idea che non fosse l’ideatrice, il film vuole rivalutarla un po’ secondo me.. Poi sarà sicuramente romanzato,ma quello che esce peggio è Jeff