Vent’anni e non sentirli

Non mi è mai piaciuto compiere gli anni. È una frase che ripeto ogni 6 novembre della mia vita, ma il dovere di festeggiare incombe, i regali da scartare attendono, le prenotazioni di pub e ristoranti scadono. Forse non fa per me, perché leggere quei numeri a due cifre fa un po’ paura, perché ieri ero più piccola, più bambina, più accoccolata tra le braccia di mamma e papà, protetta dalle loro scelte al posto mio, nutrita del loro cibo e dei loro consigli. Da un po’ di anni a questa parte sto crescendo. E forse non fa per me vederlo per iscritto, sulla carta d’identità o sulla patente di guida. Solo numeri, calcoli. Ma quando mi chiedono come mi senta, ogni mattina del mio compleanno, rispondo che mi sento normale. Non è vero, mento. Mento spudoratamente. Mi sento come un treno in corsa senza i freni, lanciata a tutta velocità contro un bivio, con quel poco tempo necessario per decidere, a occhi chiusi, quale strada imboccare. Mi sento un treno carico di pendolari, con la responsabilità di tutte quelle persone che si affidano a me, che mi accompagnano, che mi vogliono bene, e che davanti ad ogni bivio non possono cambiare la mia direzione. Compiere gli anni ti mette davanti a tutta la strada che hai percorso, ti blocca i polsi mentre osservi col senno di poi, quel senno che non è mai puntuale ma che dona rimorsi e rimpianti. É che sono sempre stata insicura, perfino delle certezze che avevo, insicura di meritarle, insicura di poterle conservare, insicura di trovarne di nuove. Ho avuto sempre paura del futuro incerto e di me stessa, e compiere gli anni non mi ha mai regalato un’armatura, una spada, un elmetto da indossare sulla faccia. Il mio compito è stato sempre quello di crescere al meglio, forgiando un carattere che dalle mie mani bambine è uscito un po’ imperfetto, timido, lunatico, buono. Non ho mai avuto il compito di pensare, di rispondere seriamente alla domanda “Cosa vuoi fare da grande?”, “Il fidanzatino dov’è?”, “Andrai a vivere all’estero?”. E io che ne so? È un compito nuovo che mi sono attribuita da sola, perché l’aver superato quella soglia immaginaria dell’età dei teenagers mi ha caricato di ansia. Di orgoglio e di ansia. Di entusiasmo e di ansia. Come se il tempo, dal giorno della mia nascita, fosse volato, più per me che per i miei genitori. Tutte le candeline che ho spento, una miseria in confronto a quelle che spegnerò nel mio futuro, sono davanti a me mezze sciolte, a ricordarmi di quando ancora mi vergognavo a soffiare, e i miei amici soffiavano per me. A volte vorrei potesse accadere ancora. Vorrei che prendessero il mio posto per pochi istanti, guidassero la mia vita verso le scelte più giuste, affrontassero con coraggio il nemico, combattessero la riservatezza che combatto ogni giorno io. Ma non può succedere, perché ho vent’anni, e sulle candeline devo soffiare per forza. Non posso impedire i compleanni, altrimenti lo avrei già fatto. Non posso impedire i festeggiamenti artificiosi, perché sembrerebbe a tutti strano, anche a me. Non posso dormire per ventiquattr’ore e dimenticarmi di questo giorno, svegliarmi domani mattina come se un anno dovesse ancora passare. Da quando ne ho compiuti diciannove, le circostanze mi hanno stravolto la vita. Il mio diciannovesimo anno è stato una corsa incredibile, uno slalom tra le novità e le sorprese, l’ingresso in un mondo nuovo che è l’università, le amicizie con persone da tutte le parti d’Italia, le follie di chi é giovane e non ha quasi niente da perdere. Ora che ho vent’anni e che il mio mondo si è fermato, mi manca quell’adrenalina fresca, quella ricerca ostinata di amici veri, il mio sognare una vacanza insieme o il progetto di tenerci in contatto, da adulti e sposati, da un capo all’altro dello stivale. Ora che ho vent’anni e non c’è più niente di nuovo, nessun rituale, nessuna aula, nessun volto nuovo che mi colpisca dal nulla, mi sembra di essermi semplicemente seduta. Seduta a terra, in attesa. Vorrei che questi vent’anni mi regalassero un paio di artigli, un paio di canini per mordere la vita con foga, per non avere sempre paura che le persone possano andare via, voltare le spalle e abbandonare tutto così. Vorrei che i sogni e le ricerche ossessive di un altro posto nel mondo non si fermassero qui. Sarà diverso. Io mi sentirò diversa. Da diciannove a venti è un passo enorme, che forse soltanto i miei occhi guardano con timore. Venti. Ai tempi dei miei nonni si cominciava a lavorare, qualcuno si sposava. Oggi siamo ancora in tanti dietro i libri e i banchi di scuola, a studiare per poter lavorare, a domandarci se resteremo qui o se la nostra vita continuerà altrove, in inglese, con i panorami dell’Irlanda, e una fede al dito. Vaneggiamenti. Compiere gli anni ha questo effetto, su di me. Mi fa pensare. Troppo. Ed eccomi qui, come un coniglio davanti al suo spiedo, a constatare che da domani non cambierà proprio niente, e che tutta l’ansia che mi sono trovata a quantificare non è che un cumulo antico, perché la crescita la porta sempre con sé. Tutte le avventure a cui pensavo di dover rinunciare, le persone che temevo di perdere, sono le conseguenze di una vita costruita così, giorno dopo giorno senza possibilità di fermarsi, e non è un compleanno a voltare la pagina e ricominciare la storia da zero. Non sono i diciannove o i vent’anni a fare di una persona un’altra persona. Lo so bene. Per un anno mi sono aumentata l’età credendo che suonasse meglio, con i miei genitori, quando mi arrabbiavo e gridavo che “Io ho vent’anni!”. Quando lo dicevo, mi sembrava di avere già mezzo secolo. E invece sono piccola e inesperta del mondo, timorosa e curiosa delle novità, entusiasta per i nuovi persorsi, fanatica delle nuove esperienze, ancora in cerca di altri veri amici, felice quando tra le mani raccolgo pochi sassolini, ma d’oro. Non passerà il mio odio per i compleanni, dove la sola cosa dolce a cui non potrei mai rinunciare è la torta. Non passerà la mia ansia da prestazione, perché c’è chi per il suo compleanno organizza ricevimenti da matrimonio, affitta discoteche intere con cento amici, mentre io arrivo a mala pena a dieci invitati. Sono io. Sarò sempre io. A diciannove, venti e ventuno anni. Dovrei solo imparare a pensare di meno e brindare di più a me stessa. Se non sono io la prima persona felice di compiere vent’anni, chi dovrebbe eserlo?

Vent’anni. Scusate se è poco.

30 pensieri su “Vent’anni e non sentirli

    • Mi dispiace.. ma sai, ho l’idea che tutti abbiano un’età in cui vogliono ritornare, anche per fare scelte diverse o cambiare il passato.. purtroppo non ci è dato farlo

  1. Forse 20 è l’età del cambiamento, quell’età in cui capisci gli errori del passato e guardi con ansia al futuro, non sai bene che fartene del presente e tutto ti spaventa per le conseguenze che può avere o meno nella tua vita. Sai perché dico questo? Perché ho 20 anni anche io e mi sento così. Ti auguro un anno pieno di piccole soddisfazioni.
    Auguri.

    • Wow coetanei! Ho dato una scorsa al tuo blog e e ho letto il commento, e… che dire, forse hai ragione è proprio l’età che fa questi scherzi, si inizia a cercare la propria strada mentre prima si percorreva solo uno spiazzo enorme senza direzione… di certo abbiamo quasi le stesse sensazioni 🙂
      Grazie degli auguri!

  2. Buon compleanno! 😀
    Anche a me non piace il compleanno, per lo stress sociale che comporta, sebbene cerchi di ridurlo al minimo, come con tutte le altre festività! Lo preferisco ad altre perché è più mio, ma non sopporto i convenevoli!

  3. Venti anni! che bello! E comunque i compleanni vanno sempre festeggiati, mica per forza con stuoli di persone, anche da soli. E’ un giorno imprtante.
    E’ il giorno della vita.
    Io festeggio sempre, anche quando sono stata sola (per una serie di motivi mi è capitato più di qualche volta), e non mi metto paura degli anni che passano, è belolo pensare che comunque sono oltre oi 60 tra un po’…ci speravo 😀

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