Creta è, di città in città, infine (ma non del tutto, c’è anche domani)

Rethymno, la città dei turisti, dei negozietti di souvenirs, piccole grotte scavate nei palazzi, e viuzze che si districano come un gomitolo svolto, e lasciano intravedere scorci di cielo azzurro e di orizzonte. Ha il profumo del gelato e dei fiori, della fontana d’acqua e della pizza, un tentativo di mescolare le culture d’Europa, come si mescolano strade e piazze in un gioco ad incastro. E la sera, brillano le luci delle vetrine, i braccialetti d’argento esposti, gli anelli, le collane, e dipingono le immagini i colori che rimbalzano tra un muro e l’altro, e si fondono in un indistinto arcobaleno.

La fortezza veneziana di Rethymno è invisibile agli occhi, un muro la circonda, imponente come se l’avesse costruito un mostro, protetta dall’assenza di cartelli, vi si arriva per caso, quando un vecchio del paese sorride e con un dito accenna una salita. La percorro soffermandomi su di un’auto funzionante, ma senza gli sportelli: salendo, tutto va invecchiando. Ma a Creta le auto vanno così. Entrati nella cerchia di mura c’è il sole che riflette il giallo brillante del mattone, forse è mattone, non lo so, non me ne intendo, ed un percorso che costeggia i bastioni, le armerie, le cisterne dell’acqua. C’è una moschea, a pianta circolare forse, in cui l’occhio si perde a guardare in verticale il soffitto, a cercare il suo inizio, il vertice geometrico, e tutto intorno pare quasi ruotare. C’è una chiesetta al suo fianco, che odora di incenso, piccola e stretta per più di due persone, familiare, come una nicchia di casa. Ci sono antri nascosti sotto uno strato di altra costruzione, e gallerie buie in cui forse si conservavano le provviste. E c’è il panorama, una vista a trecentosessanta gradi della città di Rethymno, con il porto, la strada sottostante schiacciata contro gli scogli, e il mare, un mare blu come il color della tempera, ma calmo e pacifico, quasi dormiente.

Heraklion, città dell’aeroporto, città nuova, vuota di monumenti, vittima dei bombardamenti e ricostruita. Campeggia in piazza la fontana Morosini, un tuffo che mi riporta, inconsapevole, alla mia Italia, ma senza incanto. Come guardare l’argento dopo aver visto meraviglie d’oro. Ci soffermiamo per l’ultima volta dai peni decorati e dalle spugne biologiche, dalle boccette di ouzo e dai saponi all’olio di oliva, ma già i primi aerei solcano il cielo innalzandosi, e accarezzando l’Egeo.

L’aeroporto è affollato, colmo di gente, di vacanzieri con il cappello di paglia in testa che oggi tengo appeso al muro come un quadro. C’ero anch’io, in mezzo ai vacanzieri, a chiedermi che cosa fosse in fondo Creta, se non un mondo nel mondo.

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