Ho aspettato cinque anni. Cinque anni in cui ci siamo guardati in faccia per sette ore a settimana. Cinque anni in cui di matematica e fisica non ci ho mai capito niente. Le pare? Non voglio fare prediche o scenate infantili, vorrei solo che si rendesse conto del tuo evidente e pressoché totale fallimento come professore. Noi ridiamo. Abbiamo riso davanti ad ogni verifica che lei puntualmente ci proponeva, abbiamo riso davanti ad una media che oscillava tra i due e i tre decimi, abbiamo riso perfino consegnando in bianco i fogli, e me lo lasci dire, non è normale. È colpa di tutti, lo ammetto. Lei ha questo metodo, di lasciare nelle nostre mani il nostro destino, ha lasciato che sprecassimo le occasioni una dopo l’altra, ma le faccio una domanda: ha avuto senso? Ci guardi. Suppongo si sia reso conto che ci sono persone ferme alle equazioni di primo grado. Programma di prima superiore. Ma la sua risposta è stata sempre e soltanto una: NON ME NE FREGA NIENTE! Ottimo. Mi fa piacere. Allora cosa ci fa in una scuola? Pulisce i cessi? Professore, mi permetta: ha sbagliato mestiere. Ci confonde con dei robot, quando robot non siamo. Quante volte ci ha urlato in faccia, ci ha stracciato i fogli, ci ha umiliati alla lavagna, ci ha fatto sentire dei decerebrati privi di quoziente intellettivo, quante volte? Ci ha detto, testuali parole, che non capiamo un cazzo. Le sembra poco? Ma abbiamo sopportato soprusi e vergogne per cinque anni, con il risultato che adesso, guardando un numero, mi sale la nausea. Ha rovinato ventisette persone. A me la matematica piaceva. In terza media avevo il massimo dei voti. La prova d’esame lo fatta io, per almeno cinque persone. Oggi entro in classe e mi domando che cosa ci sto a fare, che senso abbia copiare lavagne intere di geroglifici, quando lei scrive a destra e poi a sinistra e poi di nuovo a destra, senza un ordine, quando non riesco manco a decifrare perché sembrano tutti degli otto storti, quando chiede a bassa voce “Posso cancellare?”, ma il cancellino è già partito per la tangente. Che senso ha, me lo dica lei. Ho consumato fogli a copiare, fogli per le verifiche a sorpresa, fogli per le verifiche ufficiali, fogli per i bigliettini, fogli per i suoi giochini di geometria. Uno spreco. Sono stati cinque anni di spreco. Ho installato sul mio computer quei programmi infetti che ora non riesco più a cancellare. Colpa sua. Ho dovuto pagare un insegnante di ripetizioni, per duecento euro al mese. Colpa sua. Avrei voluto chiederle il rimborso, ma sa qual è il problema? Che lei si incazza. Si incazza se io le dico che ho bisogno di ripetizioni. Ma mi spiega come dovrei fare? Le ore con lei sono un inferno, una tempesta di grida naziste, la paura di scrivere la cosa sbagliata, e allora nel dubbio è meglio non scrivere niente, ha rovinato noi e innanzitutto la nostra autostima, perché la sola cosa che oggi possiamo dire è “Io non so fare un cazzo”. Io ci ho provato, con tutta me stessa, a passarci sopra. A cercare di scovare quel lato umano che alcuni vedono in lei. Ma sa cosa? È il solo professore che incontrandoci per strada non ci saluta, che volta la faccia dall’altra parte. La vedo tutte le mattine in bicicletta, crede che non me ne sia accorta? Mi ha quasi investita, e si è messo a ridere. E la volta prima ha rischiato di investire mia madre. Ho cercato di comunicare con lei, ma la sua risposta è stata sempre “Mi mandi una mail”. Allora le mandavo le mail, ma negli ultimi due anni non mi ha quasi mai risposto. Mi ha accusata di aver compilato a caso dei questionari, ha organizzato per me un incontro con la Marina Militare, mi ha fatto chiamare all’altoparlante, mi ha umiliata davanti alla classe intera, mi ha perfino denunciata responsabile dell’elezione di Trump, ma le sembra normale? Mi sono scusata, con una mail. Non mi ha mai risposto. Ho tante domande che non le ho ancora fatto, e che ho sempre tenuto dentro come un coltello nello stomaco. Ha detto che io non perdono le persone. È forse il mio psicologo? Ma ci ha mai capito davvero qualcosa di me? Mi ha mai chiesto se avessi dei dubbi, se fossi interessata, se avessi capito? Io per lei sono soltanto il 12, il mio numero di registro. Ma lasci che le dica che cosa è lei. Un trattore che asfalta ogni altra persona, prevaricatore delle idee altrui, un soldato che marcia in linea retta calpestando gli altri, sordo, cieco, incapace di relazionarsi con il prossimo, è esattamente quella persona che pretende di avere ragione, e quando è in torto ti prende a schiaffi e se ne va. Ha rovinato cinque anni della mia vita. Per colpa sua, oggi ho paura del mio futuro. Ho paura di non saper veramente fare un cazzo. Per colpa sua odio la matematica. Per colpa sua mi sento decerebrata, come tutti, perché i miei genitori spendono fior di soldi per me, ma continuo a prendere due decimi. Professore, mi fa schifo. Lei, e quel suo sguardo gelido che non riesco a sostenere. Lei e quella sua voce da aguzzino che ha fatto piangere delle persone, e nonostante le lacrime ha continuato a interrogarle. Anzi, le ha sgridate. Come se fosse proibito piangere. Ecco, professore, io non ho mai pianto per lei, ma ho dentro una rabbia che non può immaginare. É il prototipo di uomo sgrammaticato e barbone, che passa le sue giornate davanti allo schermo del computer, solo, immensamente solo, frustrato perché niente della sua vita è andato come voleva, arrabbiato con il mondo senza un motivo, povero di interessi, oh, se lo lasci dire, che pena! Ma le chiedo scusa se non ci riesco, oggi, a trovare in lei un lato umano. È un pezzo di pietra. Una insulsa calcolatrice. Se dovessi incontrarla per strada forse non mi fermerei nemmeno. Devo farlo? Perché lo giuro, non ci riesco. Non riesco a guardarla in faccia, a dirle che alla fine studierò economia, una specie di compromesso, perché io al mio futuro ci tengo. Non riuscirei a non dirle che mi vergogno per lei. Che ha fallito, su tutti i fronti. Che forse dovrebbe fermarsi davanti allo specchio e riflettere. Non sono io che non perdono le persone, è lei che in cinque anni non è mai cambiato. Spero che un giorno, ripensando alla sua 5°I, se ne renda conto.
Ad Economia di formule matematiche ne troverai parecchie, e di una buona base liceale ce ne sarebbe bisogno.
Tuttavia l’approccio sarà differente, dunque eventuali carenze (non è detto tu ne abbia) sarebbero facilmente colmabili con lo studio.
E’ un peccato tu abbia trovato un prof di questo tipo, io con il mio ebbi davvero un ottimo rapporto e (dopo quasi 30 anni) siamo ancora ‘amici’ di facebook.
Con le prime tre righe mi hai stesa 😭
Di carenze ne ho alcune anche se cerco di starci dietro…
Che fortuna, e che gran professori che si incontrano a volte!
mi dissocio da quei colleghi che lavorano in questo modo. Non tutti sono adatti all’insegnamento!
Me ne sono accorta… sono certa che tu invece lo sia 😉
e tu che ne sai? ahah
Beh perché te ne dissoci 😀
logico 😀
nominata https://unavitanonbastablog.wordpress.com/2017/06/08/anni90-tag/
Grazie mille! Ecco essendo nata nel 1998 non ho vissuto così tanto gli anni 90, ma farò una variante, mi inventerò qualcosa 😆
Mi ricorda tanto il mio professore di matematica…anche lui negato del tutto per l’insegnamento. Forse è l’unico che non rimpiango.
Comprendo bene… altro che rimpianti, se lo incontro mentre sono alla guida ho la tentazione di investirlo 😂😂