Storia di come ho preso la patente – Verso l’esame di pratica 

Oramai sento quell’auto un poco anche mia, e ritrovo vecchie conoscenze, quella ragazza con cui parlavo per tre minuti e mezzo tornando a casa dalle lezioni, e quell’altra che ho sempre solo osservato da lontano. Scuola guida è come un immenso cerchio che si chiude. Prima o poi alla fine ci arrivano tutti. Ho iniziato a percepire che mi stavo avvicinando anch’io quando mi ha detto “L’esame di pratica sarà il 20 di marzo”. È stato allora che ho capito tante cose. Che quello che prima era ancora un sogno lontano, stava divenendo un gradino vicinissimo. Che avrei anche potuto sbagliare tutto, e dover tornare a casa con le mani vuote e tanta amarezza. Che tutto il mio lavoro era sulle mie spalle, ed era compito mio, solamente mio, dimostrare di essere pronta. Francesca me lo ha chiesto: “Hai voglia di guidare?”. Una voglia infinita, anche solo di salire in auto e metterla in moto, guidare senza avere una meta, guidare per ore solo per il gusto di girare il volante, perché a me guidare piace, e mi sento pronta. Lo voglio. E penso lo sappia anche Francesca, perché con me non si arrabbia mai, e nonostante quegli errori che io, testarda, mi ostino a fare, ci crede con me. Lo scoglio più grande è il coraggio, lo stesso coraggio che mi manca all’ingresso delle rotonde, o prima di imboccare l’asse attrezzato, è in quei momenti che non so mai se devo partire o stare ferma, se devo rallentare o accelerare, é in quei momenti che l’istinto mi fa ricordare di tutti gli altri, e la mia auto sembra improvvisamente più pesante. Sono quei momenti che passano, ma conosco i miei punti deboli, conosco le mie paure, conosco la mia faccia quando cerca di mascherare le emozioni. E la conosce anche Francesca, ma probabilmente lei ci casca ancora.
Quando mi ha portata in tangenziale, ho capito davvero che non ho paura della velocità, non ho paura di volare sull’asfalto, non ho paura di accelerare, in realtà ho un poco paura degli altri, e degli altri con me in mezzo. È stato strano, perché tutto quello che dovevo fare era guardare la strada, e stringere il volante tra le dita per non farlo mai scivolare di un millimetro. Ma tendo a frenare presto, a rallentare presto, come se mi volessi privare da sola di quel senso di libertà e di leggerezza. Faccio tutto presto, un po’ per timore di dimenticare, un po’ perché ho sempre il pensiero fuori dall’auto, a chi mi dice “Metti la freccia”, “Guarda lo specchietto”, “Metti la seconda marcia”. Ma quanta voglia di prendere finalmente questa patente! Poi ci sono quei giorni in cui mi sento come esausta, giorni in cui di salire in macchina non ne ho voglia, eppure devo farlo lo stesso, e la cosa buffa é che me ne rendo conto, so che guiderò male, so che sarà come aver dimenticato tutto. Francesca è buona anche in questo, perché cerca di capirmi, quando non mi capisco nemmeno io. Mi ha guardata con un’aria di rimprovero materno, ma forse sapeva che ero più delusa io di lei. “Non demoralizzarti”, mi ha detto. E mi chiedo se in fondo non abbia compreso davvero come sono fatta. Sembra quasi che lo sappia, che sappia quando sono felice e quando invece mi sento strana, e sa quando fare domande e quando stare in silenzio, come se mi leggesse dentro. C’è una complicità strana tra noi due. Lei é la mia insegnante, magari avrebbe dovuto sgridarmi, ma non l’ha fatto. Non l’ha fatto mai. Ma nonostante tutto non riesco a non demoralizzarmi, anche solo per pochi minuti, quando penso che potrei non farcela. Mio padre non fa che ripetermi “Non ti possono bocciare”, “Ormai hai già la patente in tasca”, ed é un peso che mi segue, nel bagagliaio dell’auto. 
A due giorni dall’esame di pratica, mi è crollato il mondo addosso. Il secondo esaminatore peggiore in circolazione, di quelli che pretendono il parcheggio particolare, l’inversione particolare, quelli che non vogliono vedere paura, incertezza, quelli che vogliono vederti andare. Quelli che brontolano, e a me le persone che brontolano mi fanno salire l’ansia. Non saprei nemmeno dire come io l’abbia presa, forse male, forse malissimo, e non c’è niente che apparentemente possa tranquillizzarmi. Francesca mi ha parlato a lungo, mi ha spiegato quello che questo omino vuole, mi ha detto che lei stessa sperava in qualcosa di meglio, mi ha detto che io so guidare, che la patente me la merito. Ma a due giorni dall’esame non mi sembra più così. Penso alla pura sfortuna che ogni volta insiste per complicarmi le cose. Penso a quanto vorrei saltare l’esame e svegliarmi direttamente il giorno dopo. Non sono una di quelle persone che se ne frega di tutto, sono una di quelle persone che ripensa ai propri errori finché non ne commette un altro, lo so che sbaglio, che l’esame è nelle mie mani e neppure così irraggiungibile. Ma non riesco a non essere catastroficamente pessimista. Sono fatta così. 

Continua… 

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