A dir la verità, sull’auto ci ero già salita, a settembre, prima ancora di iscrivermi a scuola guida. Sono salita per la prima volta sulla vecchia cinquecento bianca di mia zia, quello scatolino tutto scassato, con la marmitta forata, che quando accelera sembra una Ferrari, e lì, al volante, con il motore acceso, mi sono sentita piccola, minuscola. Ricordo che mio padre disse “Soltanto una volta ho visto il tuo piede tremare: la prima volta che sei partita”. Però sono partita. Tremando, ma sono partita. Mio padre ha detto “Parti”, ed io sono partita. Sembrava una scheggia ingovernabile, e invece passo dopo passo l’ho sentita sempre di più parte di me, sempre più conforme ai miei comandi, anche se qualche partenza lasciava a desiderare. Passo dopo passo sono arrivata ad attraversare gli incroci, a superare qualche deserta rotonda, a parcheggiare in trenta manovre tra due alberi, ed ogni volta era una scoperta nuova. Mi piace guidare. Mi è sempre piaciuto, da allora. Mi piaceva anche quando ci superava l’auto della polizia, ed io mi fingevo esperta neopatentata perché non venissero a farci domande. Ma sapevo che con il foglio rosa sarebbe cambiato tutto. É arrivato il ventisette di dicembre, appena in tempo per la fine dell’anno, e sono andata a ritirare il mio foglio rosa. Stringerlo tra le mani è stata una sensazione bellissima, era il frutto di tanto lavoro, perché a quella patente io ci tenevo troppo, era il frutto anche di tanta insistenza per convincere i miei genitori a farmi iscrivere, e frutto di tanta ansia, perché salire su di una macchina non è stato da subito facile. Sono tornata a casa stringendo tra le mani il foglio rosa e la P da attaccare al vetro, e nel cortile mi sono messa a saltare come una bambina, perché voleva dire tanto per me.
La prima guida vera, sulla strada, con mio padre, l’ho fatta il secondo giorno dell’anno 2017, su quella stessa cinquecento scassata che ormai era un poco anche mia. È stato strano, mi sentivo minuscola, circondata da persone molto più forti di me. Non era domenica, i parcheggi erano pieni, le fabbriche aperte, in quella zona industriale a me nota come deserta, e tutti correvano, tutti avevano fretta. Io no. Ho affrontato le mie prime rotonde, certo, ad una ho rischiato l’incidente, e mi sono sentita schiacciata dall’esperienza degli altri, ma non avevo paura. Il mio primo semaforo è stato ancora più strano. Improvvisamente il mio piede ha tremato come la prima volta che sono salita al posto di guida, improvvisamente ho pensato “E se non riesco a ripartire?”. Era una paura assurda, perché sapevo bene, ormai, come riuscire a muovermi. Ho superato i limiti di velocità, alla mia prima guida in strada. Per una frazione di secondo, soltanto per sapere che cosa si provasse. Ecco, niente. Soltanto una sensazione di ribellione, inutile. Ho guidato per circa un’ora e mezza, quella prima volta, lungo le stesse strade, ed è stato bellissimo.
Poi c’è stata la mia prima guida con Francesca, la mia istruttrice. Ed è stato un mezzo disastro, o forse sono io troppo catastrofica, non lo so. Sono salita in auto, su quella Peugeot 208 arancione, e tutto mi sembrava enorme, il sedile, il cruscotto, tutto. Era come se su un’auto non ci fossi mai salita. Francesca era carinissima con me, mi ha messo a mio agio, nonostante quel “Non essere timida” che solitamente mi fa abbassare la testa e fremere i nervi, ma detto da lei era diverso, quasi funzionava. Sono partita, e non avevo il coraggio di inserire la terza marcia, non so nemmeno io perché, era strano, era tutto apparentemente assurdo. Francesca mi parlava, e mi dava consigli che io accumulavo e cercavo di applicare, ma non era facile, non era come mi aspettavo. Le strade erano minuscole, e lei attentissima a tutto, alla posizione dei piedi, delle mani, alla sequenza delle mie mosse, una dopo l’altra, notava tutto, perfino ciò che non notavo io. Non ho guidato come avrei voluto. Non avrei voluto rischiare di investire quel pedone, e quell’altro, e non avrei voluto attraversare l’incrocio senza fermarmi, ma sì, un poco di paura ce l’avevo. La maschera che indossavo scuoteva la testa, ed in realtà non avevo paura della strada, o dei frettolosi che mi superavano, avevo paura di fare qualche sciocchezza, di sbagliare, di sembrare incapace. Perché io non mi sentivo incapace, prima. Ma Francesca ha uno sguardo buono, una volta finita la guida, dentro la macchina ferma, mi guardava e cercava il mio sguardo, “Non è andata male”, ha detto. Non so mai se crederci. Perché penso che potrebbe essere una risposta al mio sguardo enorme, implorante, una risposta costruita solo per farmi piacere, ma voglio pensare che sia vero. Non è andata male.
Continua…
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Tre cose:
– ti sentivi piccola dentro una 500 piccola. Sei nata a Lilliput?
– ma solo il mio, di padre, gridava come un ossesso mentre mi insegnava a guidare?
– ovviamente “P” stava per “Penny”
Ebbene sì, ho la cittadinanza di lillipuziana 😅
Mio padre non urla mai, non penso di averlo mai sentito urlare contro di me in diciotto anni, ha un modo diverso di far capire le cose, assolutamente diverso da mia mamma 😀
Ecco perché la P l’ho tenuta come ricordo 😆