Un improvvisato racconto estivo – Capitolo quinto

La mattina era cominciata nei peggiori dei modi, con la sveglia che aveva cominciato a strillare alle sette in punto, il sole che non voleva uscire, i segni del vento che aveva cercato di rubare i costumi bagnati stesi sul terrazzo. “Ecco, ci mancava solo che venissero le nuvole!”, “Ma che vuoi che sia! Il sole lo prendi lo stesso”, “Non c’è, mi dici come faccio a prenderlo?!”. Suo padre pareva sempre avere una risposta pronta e carica di positività, cosa che ad Alice mancava. Era certa che si sarebbe annoiata a morte se non fosse andata in spiaggia. I suoi genitori l’avrebbero sicuramente trascinata in qualche museo o vecchio castello sperduti a chilometri di distanza, e i suoi spruzzi di abbronzatura sarebbero stati lavati via in poche ore. Era catastrofica, lei, e non poteva farci niente. Fecero colazione, e Alice non riusciva a staccare gli occhi dal cielo che si intravedeva dalle enormi finestre. Non pioveva, ma ancora il sole era in aperta lotta con il maltempo. La spiaggia era ancora più deserta della mattina precedente, ma c’era un solo ombrellone aperto che catturò l’attenzione di Alice: era solo, a proteggere un borsone appeso ai ganci, e nient’altro. Scrutò verso il mare, e scorse il ragazzo vestito con la maglia verde del giorno prima e un cappellino con la visiera. Stava calciando goffamente il pallone a suo padre in costume, attenti entrambi a non bagnarsi i piedi. Quando ritornarono al proprio ombrellone, Alice prese a fissare quel ragazzo con intensità glaciale, e per un istante lui si voltò, le lanciò un’occhiata fulminea e si sdraiò sul lettino. Non riusciva a capirlo, era strano, ma la incuriosiva da morire. Tra le altre cose scoprì di amare la spiaggia quando il sole se ne stava nascosto, era quasi piacevole, silenziosa, pressoché vuota, e le poche persone che avevano sfidato le nuvole se ne stavano sotto al proprio ombrellone con i propri fatti tra le mani. Era così che amava la spiaggia Alice. E se non fosse stato per sua madre si sarebbe buttata in mare anche alle nove per fare il bagno, quando non c’era nessuno, nessun bambino, nessun ragazzo, nessun adulto, nessun anziano, solo le onde leggere e la sabbia. Scattò una foto al cielo e la inviò all’amica Marta, che rispose con la sua tipica risata sarcastica che la contagiava ogni volta. Rimasero in spiaggia fino all’ora di pranzo, quando finalmente il sole fuoriuscì a riscaldare il corpo ancora color latte di Alice e quello all’ombra del ragazzo di fronte. Eppure lui non rimase che due minuti, raccolse le sue cose e aspettò il padre in piedi sulla passerella. Alice, al mare con i suoi genitori, si sentiva una maledetta asociale. Ma lui? Lui era peggio, mille volte peggio. Avrebbe potuto almeno dirle qualcosa, in fondo entrambi non avevano niente da fare. E Alice era la tipica ragazza che dall’uomo si aspetta tutto, compreso il vestito da principe azzurro. Forse per questo cominciò a non essere più così curiosa di lui, anzi, sentiva quasi di non sopportarlo. Tornando in albergo lanciò un’occhiata all’ombrellone di fronte e notò che padre e figlio avevano lasciato il pallone al sole, e fingendo di giocare lo calciò tra i cumuli di sabbia nascondendolo all’ombra. Almeno non si sarebbe sgonfiato, visto che era il suo solo divertimento, pensò Alice. E suo padre la guardava sorridendo.

Continua…

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