Ecco, mi pare di essere giunta a un termine… Sì, lo vedo, vedo l’ultimo passo, vedo quel metro che ventuno capitoli fa mi sembrava lontanissimo. Lo vedo, e lo sto percorrendo.
Capitolo 20: https://ilmondodelleparole.wordpress.com/2014/09/30/specialissimo-capitolo-20/
CAPITOLO 21
Il giorno dopo portai Carlos e Rosella alla mia tomba di famiglia. Lì c’erano tutti, per davvero. Mia madre, mio padre, mia nonna e mia sorella. Mi costò una fortuna, ma l’eredità di mio padre mi aiutò a pagarne una buona parte. Era una tomba bellissima, una stanza chiusa con una porta in vetro, con le pareti di marmo e un lampadario decorativo a ricordo della vecchia casa di quand’ero bambino. Una grande foto era appesa davanti alla porta: era un collage che avevo fatto un paio d’anni prima, come ricordo, e che ora serviva a indicare che lì viveva la Mia famiglia. Quello fu il giorno in cui raccontai a Carlos, all’epoca di otto anni, di quella che era stata la mia sfortunata famiglia. Gli raccontai tutto, tutta la mia vita, come se fossi stato convinto davvero che potesse capire ogni parola. Parlai per un’oretta buona, seduto davanti alla tomba, sul prato, e lui alla fine mi abbracciò, e mi sussurrò all’orecchio “Lo so, papà, che tu sei l’uomo più forte del mondo”. A quelle parole mi venne voglia di piangere, strinsi mio figlio a me, e sorrisi alla mia famiglia, perché in quel momento mi sentivo di tutto, ma sicuramente non forte. Mille emozioni avevo dentro, ma non avevo mai pensato di apparire forte. Mi fissai nella mente quella frase, come il mio ultimo scopo nella vita: e così nacque il mio libro, il primo e l’ultimo.
Mentre scrivevo Carlos sedeva sulle mie gambe, e mi controllava l’ortografia. Ogni tanto leggevamo insieme dei paragrafi, altre volte era lui a dettarmi cosa scrivere e come scrivere. In quei giorni vidi negli occhi di Carlos tutta l’ammirazione che aveva per me, e mi sentii per la prima volta forte, seduto assieme a lui a scrivere la mia storia.
Terminata l’opera, lo mostrai per la prima volta a Rossella. Non le avevo mai confessato niente di questo mio pazzo progetto, forse perché non ci credevo nemmeno io. Insomma, non avrei mai pensato di arrivare a scrivere un libro su di me! All’inizio mi sembrava solo una follia, uno di quei sogni da ragazzi, come una specie di diario – ricordo. Poi, però, la storia prese vita, riga dopo riga, sotto la mia mano, e più proseguivo più i ricordi erano vivi, e con i ricordi le emozioni. Riuscivo quasi a vedere sulla carta la mia famiglia al completo, sorridente, con lo stesso sorriso che vedevo stampato sul volto di Carlos, luccicante come sempre.
Non sono sicuro di essere riuscito a trasmettere anche solo una piccola parte di quei sentimenti vari e contrastanti che animarono la mia vita, ma, come ho detto, il mio scopo era di vedere la mia famiglia felice, e di sentirmi forte. Ciò è successo, e sono convinto che succederà ancora, mille altre volte.
Questa fu la prima volta in cui mi impegnai in un testo scritto. È vero, non è molto lungo, e forse neanche troppo avvincente, ma non potevo cambiare la storia, altrimenti sarebbe stato solo un libro tra i tanti. Questo racconto lo devo alla mia famiglia, in particolare a mio padre, con cui ho passato brutti momenti, è vero, ma con cui ho anche fatto pace, e a mia sorella, che ho ritrovato dopo trent’anni e con cui mi sono miracolosamente riappacificato. Sono loro i protagonisti di questo libro, breve, sì, ma speciale per me. E non m’importerà se nessuno vorrà leggerlo, perché nella mia copia ci saranno le sbavature, le cancellature, i disegni di Carlos, le briciole della sua merenda, e, in basso, le nostre firme. Qui sono racchiusi i miei ricordi, e anche se nessuno saprà mai davvero chi era Tommaso, figlio di Roberto e fratello di Francesca, io ora posso finalmente dire di aver vissuto per qualcuno.
“Carlos, questo libro è dedicato a te, perché tu conosca la storia del tuo papà, e mi perdoni se a volte sono stato freddo o scortese, ma forse stavo attraversando uno dei miei tanti brutti periodi. Voglio che questo libro ti accompagni nella tua vita e ti faccia sentire anche solo un po’ orgoglioso di essere mio figlio. Ti auguro di essere felice così come lo sono io adesso”.
Vent’anni dopo la conclusione di questo libro, io non so se Carlos lo abbia davvero letto, ma so per certo che una persona speciale l’ha fatto, e nello stesso istante in cui chiuse l’ultima pagina si asciugò gli occhi umidi, ed io sorrisi, perché forse un po’ di emozione ero riuscito a trasmetterla.
La copia originale rimase sempre nelle mani di Carlos, ma io continuai a scrivere, correggere, aggiungere, come un ossessivo, anche adesso, perché tanto so che non mi andrà mai bene. Ma so anche che per Carlos e Rossella il libro avrebbe anche potuto essere mille volte più schifoso, ma io sarei rimasto comunque il loro eroe. O almeno, così spero.
E si conclude così la vita di Tommaso. Personaggio di fantasia, mai nato e mai vissuto. Ma se potesse parlare, forse potrebbe spiegarci che cosa vuol dire essere forti:
“Vivere è essere forti. Nonostante tutto sembra venirvi contro, con un’onda d’urto potente in grado di schiacciarvi. Essere forti è quello che ho fatto io: trovare nuovi appoggi dove mancano. E quegli appoggi non sono altro che l’amore delle persone che ci sono vicine”.
Vorrei poter scrivere il solito “continua…”, ma ora è proprio giunto il momento di dirlo:
Fine.