Elias Canetti & Sandor Marai – Il silenzio

“Si può entrare in contatto con le persone anche senza parlare.[…] c’è un modo di entrare in contatto tra esseri umani più percettivo e affidabile della parola, fatto di sguardi, silenzi, gesti e messaggi ancora più sottili; è il modo in cui un essere umano nel suo intimo risponde al richiamo di un altro, quella silenziosa complicità che nel momento del pericolo dà alla muta domanda una risposta più inequivocabile di qualsiasi confessione o argomentazione, e il cui senso è semplicemente questo: io sono dalla tua parte, anch’io la penso così, condivido la tua preoccupazione, noi due siamo d’accordo… ” (Sandor Marai)

E’ forse l’interpretazione del silenzio che più si addice a un mondo di retorica e poesia. Il silenzio visto come parola, discorso, verbo. Il silenzio parla da sé, dicono. Non lo nego. Ogni parola ha un suo significato, e questo comporta che anche il silenzio ne abbia uno. Così ho cercato sul vocabolario la sua definizione:

“Mancanza completa di suoni, rumori, voci e sim.; cessazione del parlare”.

E qui già mi fermo, perché allora, nel silenzio, le parole dov’è che stanno? Stanno negli sguardi, nei gesti, nei cenni. Stanno in tutti quegli impercettibili movimenti che davanti a un vasto pubblico vogliono rivolgersi a una persona sola, e hanno il potere di farlo. Il silenzio è forse il momento di intimità più speciale, e magari, sì, anche il più banale, ma nello stesso tempo, se ci pensate, non c’è silenzio che sia uguale a un altro: ogni gesto è fatto fatto da migliaia di piccoli movimenti che costituiscono il silenzio stesso, ma anche la persona. E’ come un DNA. Eppure il vocabolario non riporta niente del genere. Una spiegazione? Il silenzio può essere letto solo da chi ne ha la chiave. Un’occhiata, e mille persone non la notano nemmeno. Poi c’è la milleunesima persona che risponde. E’ sempre così, il silenzio è come un qualcosa di mistico, di segreto, è un messaggio in codice da decifrare, è una password per entrare in un mondo abitato da due persone soltanto, e dal silenzio. Il silenzio abita. Il silenzio vive. Il silenzio descrive, consiglia, ride, scherza, offende, allontana, requisisce, divora, abbraccia, chiama. Il silenzio è come una persona. E non si può dire che non abbia parola, perché se ci pensate bene, il silenzio ha più coraggio di qualsiasi altra persona su questa terra, un vocabolario che si estende all’infinito, e una sincerità che nemmeno volendo sarebbe possibile raggiungere.

“Alcuni raggiungono la loro massima cattiveria nel silenzio” (Elias Canetti)

Il lato cattivo del silenzio. Non potevo non citarlo. Rispetto il silenzio. Ma dico che sì, il silenzio può ferire. Anche uno sguardo. Anche un gesto. Anche un cenno. Il silenzio ha parola, ma nessuno ha scritto che abbia solo parola buona. E forse è proprio perché è il silenzio a parlare, che ci ferisce di più. E’ come uno schiaffo. E’ violento e immediato, non ci dà nemmeno il tempo di prevederlo. Poi viene il dolore. Non parlo di sussurri, parlo di quel silenzio inevitabile che ci sbatte in faccia la realtà nero su bianco, e a noi non resta che leggerla, soffrire, accettarla, e andare avanti. E’ un meccanismo automatico, e forse l’unico che ci permette di superare le lotte e le discussioni continue con la vita. Eppure, per quanto “cattivo” possa essere il silenzio, senza di lui la verità resterebbe nascosta negli angoli remoti di un mondo abitato da tutti e da nessuno, perché non ci sarebbe più il silenzio come testimonianza di cittadinanza. Il silenzio spesso ci apre una porta sulla realtà, da cui noi non possiamo distogliere lo sguardo, un po’ perché attratti, un po’ perché tornare indietro non sarebbe possibile, e da quel momento altri silenzi ci spiegano, ci illuminano, ci vedono abbassare gli occhi davanti a una verità, ci guardano afferrare la vita e darle uno strattone, ci osservano cadere e rialzarci, spolverandoci le ginocchia dalla polvere, e poi ripartire di corsa, contro e lontano dal nemico. Il silenzio, pur nella sua cattiveria, è parte del mondo. Rimane una persona. Anzi, ciò lo rende forse quasi più vivo. E soprattutto, ci dimostra sincerità. E’ vero, a volte vorremmo che il silenzio non potesse parlarci, vorremmo riuscire a non ascoltarlo, ma una volta in piedi, quando lo guarderemo di nuovo in faccia, con gli occhi asciutti e il viso pulito, potremo dire “Avevi ragione tu”, e così sarà sempre, perché il silenzio non è in grado di mentire. Nessuno glielo ha mai insegnato.

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